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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Giada Mattarucco – Alessandro Fo, Filo spinato

[ Einaudi, Torino 2021 ]

Il volume s’intitola come la poesia che lo chiude, e un po’ anche lo apre, perché i versi riportati in copertina sono appunto l’ultima parte di quella poesia, in cui Alessandro Fo ripensa al nonno paterno, Felice. Ne ha dimenticato i racconti sulla prima guerra mondiale, sentiti nell’infanzia, ha però in mente una storia, che dubita sia frutto della sua stessa immaginazione, in quanto nessun altro in famiglia la ricorda. È la storia del filo spinato nel quale Felice Fo rimane «impigliato», salvandosi così dalla bomba che uccide tutti gli altri soldati della sua trincea: «senza quel filo» non ci sarebbero stati i tre figli di Felice – Dario, Fulvio e Bianca – e quindi neppure i nipoti, incluso Alessandro, «(né questa nebbia di ricordi in versi)».

La raccolta è divisa in tre sezioni. La prima di esse, Ingannare il tempo, prende il titolo da una poesia scritta su una panchina del giardino dell’ospedale israelitico di Roma, dove Alessandro sta aspettando il padre Fulvio, accompagnato a fare la chemioterapia. Fulvio è baldanzoso: per non impressionare Federico, il figlio più piccolo, avuto in tarda età, commissiona ad Alessandro un fotomontaggio, fingendosi «scritturato / a interpretare un vecchio generale» e perciò rasato. Progetta addirittura viaggi e lavori futuri, «per ingannare il tempo». In realtà, gli resta poco da vivere; il figlio maggiore scrive: «Siamo in “Alvernia”, direbbe il poeta, / ma occorre “teatralizzare la vita”». Il poeta è l’amato Ripellino, che nella Fortezza d’Alvernia rappresenta un luogo di dolore, il sanatorio boemo di Dobríš. L’autoinganno paterno richiama anche un’altra citazione, dal De senectute: «Nessuno è così vecchio / che non creda di avere ancora un anno».

La seconda parte della raccolta è Muto carcere e comprende una serie di poesie legate a un’esperienza che sta molto a cuore ad Alessandro Fo, il quale, da anni, tiene e organizza seminari nella prigione di Ranza. Per esempio, in Semi, dà voce a un recluso che, trascorsi dieci mesi in isolamento facendosi «amiche le formiche» e imparando a memoria una vecchia Famigliacristiana sfuggita ai controlli, piange «per la felicità» quando gli danno finalmente dei libri, benché «putrefatti, sbrindellati». Il Semilibero dell’omonima poesia, prima di diventare tale, nella cella, impara invece a memoria la pianta della città in cui attende di trasferirsi. In Animeinpena, un detenuto sostiene in carcere un esame di latino e sceglie come argomento la notte prima dell’esilio dei Tristia, perché gli ricorda ciò che lui stesso ha vissuto dopo la condanna: la sua pena scade «il 31 dicembre novemila / novecento novantanove» ed è «più aspra del “presofferto” di Ovidio, / che anni di bando ne ha solo duemila, / riabilitato dalla Giunta Raggi / nel dicembre 2017». Il presofferto è «la pena già scontata» e «potrebbe essere un tempo del verbo», come dice l’esergo di Grammatica non euclidea. In Casette da presepe, un prigioniero resta deluso quando, nel primo giorno di permesso, visita la frazione semiabbandonata di Castel San Gimignano, che dalla cella vedeva e immaginava tanto diversa.

Tra le poesie della terza sezione (Dei sepolcri, again), la serie del Libro dei numeri è definita dall’autore nel corredo finale di note ai testi come una «specie di abbreviata Via Crucis», con momenti del periodo della pandemia. Cito ancora almeno In morte di un amico di facebook, dedicata a Giovanni Choukhadarian, conosciuto da Alessandro Fo solo attraverso internet, per uno scambio di post: «Amava la poesia di Ripellino, / che giudicava splendida e geniale. / È tutto ciò che so di una vita». Il caso vuole che io, da ragazza, abbia incrociato non virtualmente la famiglia Choukhadarian, che aveva a Taggia un negozio.

Potremmo definire Alessandro Fo un poeta altrocentrico: pensa e ci fa pensare agli altri, anche in senso religioso, al prossimo, vicino o lontano che sia. Molti sono i riferimenti colti, letterari, ma non c’è bisogno di coglierli tutti per apprezzare Filo spinato: ogni lettore può capire e amare queste poesie, che parlano con parole piane dei grandi temi e delle umane domande, della vita e della morte.

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