[ Raffaello Cortina, Milano 2021 ]
Nel suo noto saggio Davanti al dolore degli altri, Susan Sontag scriveva: «Non si dovrebbe mai dare un noi per scontato quando si tratta di guardare il dolore degli altri». L’ultimo lavoro di Milena Santerini, La mente ostile. Forme dell’odio contemporaneo, indaga i meccanismi della mente ostile da un presupposto analogo: «L’odio sembra una realtà dominante del mondo globale, diviso e polarizzato, in cui il noi si contrappone istintivamente a un loro, percepito non come singoli individui ma come gruppo nemico verso cui si nutre pregiudizio e intolleranza» (p. IX). Come nasce nella mente e nell’animo umano il sentimento di odio? Come interagiscono individuo e gruppo, natura e cultura, genetica ed esperienza, per generare pregiudizio, intolleranza, odio verso il cosiddetto diverso? E qual è il ruolo della rete nel processo di formazione, aggregazione e riproduzione dei possibili odi collettivi? A questi e altri interrogativi Santerini dedica il suo lavoro, che segue linee di indagine diverse (dalle neuroscienze alla psicologia di massa, dalla storia politica agli internet studies) e offre al lettore una ricca bibliografia ragionata sulla questione. Il saggio si articola in sette capitoli. I primi tre («La mente che odia»; «Internet e le emozioni ostili»; «L’odio collettivo») forniscono le coordinate generali del discorso sull’odio dal punto di vista delle neuroscienze e in prospettiva storica. I molti studi citati sulle origini e l’anatomia dell’odio convergono sul dato di una origine evolutiva legata al primordiale istinto di autodifesa: la «mente tribale» (Haidt) tenderebbe a prevalere sulla riflessione razionale anche nella percezione contemporanea dell’altro, l’innata tendenza alla categorizzazione e alla economizzazione porterebbe l’essere umano a rafforzare istintivamente l’immagine del proprio gruppo di appartenenza (ingroup) in contrapposizione a quella di coloro che «non ci assomigliano» (outgroup). L’estremizzazione della polarizzazione noi-loro di fronte ai fatti della storia, infine, cavalca l’onda dell’istintiva emotività priva di mediazione razionale e lo fa più che mai nella rete, divenuta (anche) il regno dell’orizzontalità comunicativa in cui la logica computazionale provvede, complici l’interattività e la viralità delle condivisioni, a creare nuove gerarchie tra i contenuti e la quantità di click surclassa ogni profondità e ricerca di senso rendendo virale l’irrazionale. L’odio condiviso per il capro espiatorio (Girard) aggrega le individualità acquistando forza, l’anonimato e il senso di distanza fisica azzerano ogni mediazione: inconscio digitale, politica della trasgressione online (Nagle) e disimpegno morale si saldano e degenerano nel peggiore dei casi in outrage fatigue (la stanchezza dell’impegno civile). Auto assolversi in nome dell’ironia, poi, è possibile e facile in rete come creare un meme, mentre il senso di accerchiamento si autoalimenta e si traduce in complottismi e rovesciamenti paradossali: novax in tempi di pandemia ed ebrei dell’Olocausto vengono assimilati come ugualmente vittime di discriminazione in un corto circuito di significati in cui pensiero e distanza storica si azzerano. Su simili impalcature comunicative sembrano trovare nuova linfa nella società contemporanea le diverse forme di odio collettivo storicamente strutturate, alla cui disamina Santerini dedica i quattro capitoli finali del libro, ciascuno incentrato su radici, specificità, falsi miti e strategie retoriche propri di una diversa declinazione dell’odio contemporaneo («I neorazzismi»; «Un mondo senza antisemitismo»; «Una normale violenza. L’odio a sfondo sessuale»; «Il sentimento antimusulmano»). La risposta alle domande dell’introduzione si trova tra le righe di questi capitoli che svelano chiaramente la natura irrazionale dei meccanismi di odio, e individuano nella mediazione del pensiero razionale l’antidoto unico alle distorsioni della realtà. Citando ancora Sontag: «Non c’è nulla di male nel fare un passo indietro e pensare. Nessuno può pensare e al tempo stesso colpire un altro».
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