[ Pacini, Pisa 2021 ]
Il richiamo a una «costellazione Rovani» prestato al titolo del recente volume di Patat avverte il lettore sulle molte questioni che si diramano sullo sfondo del secolo di vita milanese dei Cento anni, qui affrontate alla luce del gioco di corrispondenze tra testo e immagini della terza edizione (1968-69). La premessa è che il corredo di illustrazioni faccia di quest’ultima edizione non solo «un nuovo romanzo» ma «un oggetto testuale nuovo», che chiede di essere ripensato come un oggetto semiotico complesso.
Da questa prospettiva l’autore allestisce il confronto con una tradizione di libri illustrati e soprattutto con il paradigma manzoniano, quest’ultimo condotto tuttavia con una precauzione: sottrarre il romanzo all’insistita «prova di confronto con Manzoni». Intorno agli esiti più immediati di tale comparazione, ovvero le discussioni intorno al valore estetico, spesso orientate a segnalare «un’assenza, una mancanza, una impossibilità», il saggio suggerisce un rovesciamento in positivo del giudizio secondo cui Cento anni non sarebbe che una «ipotesi di romanzo». L’autore rilegge i tentennamenti del testo come un tratto caratteristico del romanzo e della sua marca scopertamente progettuale, mirando a rafforzare proprio quegli aspetti considerati dalla critica i meno riusciti: le esitazioni appunto, le riflessioni estetiche e metanarrative, le autoglosse recensorie – gli intermezzi dossiani – elementi che in quest’ottica diventano espressioni di un’indagine più vasta sul procedere della scrittura. Emerge un laboratorio metanarrativo, spesso affidato a un saggismo «relegato agli incisi» ma pur sempre esito di una «effettiva concretizzazione» in sede testuale (e visuale) delle riflessioni estetiche dell’autore.
La nota finale per cui Cento anni sarebbe un «romanzo del tempo e sul tempo» motiva la scelta di un percorso critico attento alla progressione degli eventi e dei periodi storici; non tanto per una fedeltà all’intreccio ma come soluzione per far emergere, a lato della trama, ciò che si discosta da un’apparente linearità. Allo stesso modo le immagini sono indagate figura per figura sul piano del dialogo con il testo e su quello di una “intra-iconicità”, ovvero dei rinvii interni e delle serie iconiche. La tesi è che le illustrazioni siano in grado di riorientare la lettura del romanzo e di suggerire un nuovo ritmo, nella misura in cui condensano un episodio, prefigurano un destino, rafforzano un controsenso alternativo all’ordito o mettono in rilievo scene e azioni solo marginalmente affrontate nel testo.
La questione del ruolo della «vita privata nel disegno della Storia», qui affrontata attraverso il principio rovaniano di una tensione involontaria del dramma domestico verso l’epopea storica trova nella capacità di sintesi dell’immagine una compiuta declinazione. È nel gesto, nella scena fissata dall’immagine, che si può scorgere in atto il movimento della storia. La figura 9, ad esempio, coglie l’istante “fondativo” in cui Galantino scavalca il muricciolo con sottobraccio il testamento appena trafugato. Si tratta, come mostrano le tavole successive, di «una breccia che non verrà più colmata» e che anticipa l’esito di un destino personale e generale: l’ascesa della classe di cui Galantino è il rappresentante.
Sempre nella chiave di un privato che informa il pubblico e viceversa, l’assenza dei dettagli spaziali in seno al testo e alle immagini, questo muoversi dei personaggi in ambienti solo “schizzati”, serve a rendere in tratti rapidi ed essenziali lo sfondo dal quale emerge l’azione. Anche in questo caso non si tratterebbe di una strategia narrativa mancante ma di «una tecnica con un proprio codice, che si estende alle immagini». L’appunto sintetizza un principio dell’analisi, quello di una forte consonanza tra la poetica di Rovani e le immagini, principio che sarebbe interessante esplorare anche sul versante propriamente artistico, con uno sguardo alle tecniche e alla storia dell’illustrazione.
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