[ Exòrma, Roma, 2021 ]
Estraneo ai circuiti del consumo, raffinato e di non facile lettura, Mariano Bàino è da almeno tre decenni uno degli autori più apprezzati dai critici e dai lettori di poesia del contesto letterario nazionale. Formatosi in ambito neosperimentale, tra i fondatori del «Gruppo 93», a vocazione prevalentemente poetica, ha al suo attivo anche una corposa serie di scritti in prosa, caratterizzati da condensazione espressiva e caratura aforistica.
I sette anni di silenzio che precedono l’ultima pubblicazione sembrano essere serviti a virare verso una maggiore fruibilità della scrittura, dato che Il cielo per Roma è il più romanzesco degli scritti in prosa di Bàino, benché anche nel suo caso sia preponderante lo sparigliamento, per citare Sparigli marsigliesi (2000/2003), del genere romanzo, più che una sua pur scettica restaurazione. Se la linea di continuità con la precedente produzione resta evidente, l’ultima prova apre una nuova stagione, segnata da una maggiore attenzione al coinvolgimento dei lettori non solo specialistici. Anche per questo mi sembra porsi come uno dei migliori risultati dell’autore, un risultato di particolare valore, che rafforza la sua posizione di rilievo e insieme fuori campo nel paesaggio mediocremente omologato della letteratura italiana degli ultimi anni.
Sovrabbondante di riferimenti culturali, iper-romanzo e persino, come è stato scritto, ipercalisse di foscoliana memoria, Il cielo per Roma non è leggibile solo da lettori eruditi e, anzi, senza rinunciare alla ricerca in primis formale, mette in gioco ascendenze finanche popolari, aprendo la narrazione a tanti squarci divertenti quanto irriverenti, ironici e godibili: la vitalità narrativa è degna di nota e convive in modo mirabile con la complessa rete dei rimandi intellettuali, primo fra tutti, forse, quello alla filosofa Ipazia di Alessandria. La lettura che il romanzo impone è stratigrafica: lentamente riflessiva lungo un continuo sdrucciolio dei livelli del testo, nel cui sistema la trama appare come un elemento, alla fine, marginale. Il lettore vi è frequentemente chiamato in causa, appellato «Sua Grazia», preso in giro, invitato ad aspettare o a uscire dal mondo testuale, fino al conclusivo lancio di torte alla panna in faccia. Senza volerne anticipare troppo, essa ci presenta la storia della trasmigrazione di Sinesio di Cirene, il filosofo neoplatonico, discepolo e innamorato di Ipazia, poi divenuto vescovo, nel corpo stanco dell’avvocato romano Chiaffredo Buffaldieci Guastella, faccendiere di un Vaticano in profonda crisi. Sinesio dovrà comprendere chi sia l’Anticristo tra due papi antagonisti: il dimissionario e reazionario Gregorio XVII o il progressista in carica Materno I. La sua caduta, con relativa botta, sulla cupola di San Pietro, catapulta subito il lettore in una dimensione ben poco spirituale e molto pregna di corporeità.
Bastano questi pochi cenni per notare come i rimandi all’attualità siano fittissimi e ben riconoscibili: non manca neppure la pandemia, con il virus circolante qui chiamato Morfar-19. Sono altrettanto numerosi i riferimenti palesi e nascosti alla letteratura e alla filosofia: citazioni e allusioni sono inestricabilmente aggrovigliate, sotto la stella dell’evocato «gnommaro» gaddiano.
La condensazione in ogni singola pagina, in ogni giro frase, è così marcata da produrre un’esperienza di lettura molto rara oggi, almeno in ambito narrativo. Leggere significa non solo percorrere i passaggi del narrato, ma concentrarsi sui passaggi, sui giri di frase, sulle ardite costruzioni sintattiche, sulle audaci distorsioni dei tempi verbali, sugli esuberanti intrecci polisemici che conferiscono intensità poetica alle parole. Se l’allegoria costante profila una critica radicale del presente, la dominanza del divertissement ilarotragico lascia trapelare quella che è forse la motivazione più profonda della scrittura, e cioè la fiducia nella resistenza vitale della letteratura, nella sua capacità di porsi come un argine, un’alternativa, un mondo possibile da abitare e da cui guardare al disastro con distacco, disincanto, e persino, forse, imperturbabilità.
Lascia un commento