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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Irene Fantappiè – Roger Chartier, Le migrazioni dei testi. Scrivere e tradurre nel XVI e nel XVII secolo

[ trad. it. di A. de Lachenal, Carocci, Roma 2020 ] 

Proseguendo le sue ricerche intorno alle pratiche di scrittura e di ricezione dei testi, Roger Chartier si occupa in questo agile volumetto della “mobilità delle opere”, cioè di “migrazioni” di testi tra diverse lingue e culture. La peculiarità dell’approccio di Chartier sta nel mettere in primo piano le dinamiche di produzione materiale della letteratura. Tali migrazioni devono difatti, a suo parere, essere analizzate tenendo conto dell’intervento di numerosi attori (traduttori, copisti, censori, editori, librai, correttori, tipografi) che, spesso operando nell’ombra, trasformano il testo intervenendo sul formato, sulla tipologia di pubblicazione, sulla presenza di paratesti e sul loro contenuto. 

Chartier analizza quattro casi, tutti legati al Siglo de oro, ai quali fa seguire un epilogo. Se in quest’ultimo Chartier si getta nell’impresa, forse un po’ troppo ardua, di giustificare la propria posizione metodologica con un testo letterario tanto noto quanto sfuggente (Pierre Ménard di Borges), nei quattro studi ricostruisce percorsi interessanti con una prosa precisa e priva di inutili tecnicismi, e con l’acribia dello storico combinata alla sensibilità di chi è avvezzo all’interpretazione dei testi. Un esempio sono le “sette vite” della Brevissima relazione della distruzione delle Indie del padre domenicano Bartolomé de Las Casas, stampata a Siviglia nel 1552, nota come il testo chiave della “leggenda nera” che denunciò le efferatezze compiute durante la colonizzazione. Il libretto doveva, nelle intenzioni dell’autore, convincere Carlo V a riformare le leggi sull’amministrazione delle colonie, secondo le quali l’encomandero poteva schiavizzare le popolazioni indigene del suo territorio. La denuncia di Las Casas, dai toni profetico-apocalittici, diventa però, nelle traduzioni in neerlandese (1578) e francese (1579), una requisitoria antispagnola e anticattolica, come Chartier dimostra analizzando frontespizi e paratesti. All’indio viene sostituito, quale vittima di persecuzione, il protestante. Lo stesso accade nelle immagini che corredano la traduzione francofortese in latino del 1598, opera di un cattolico inglese in esilio. Nel XVII secolo l’opera, riedita a Venezia e a Barcellona, viene prima rifunzionalizzata in chiave politica, nel quadro delle tensioni diplomatiche col papato e con Filippo IV, per poi diventare, nelle edizioni di Parigi e Amsterdam, un racconto di viaggio, previo restyling di titolo e antiporta; a inizio Ottocento infine, durante le lotte d’indipendenza delle colonie spagnole, serve a rivendicare la libertà dei cosiddetti criollos. Similmente Chartier procede anche negli altri studi, ricordando che le dinamiche interculturali della letteratura si comprendono – anche nell’epoca del digitale – soltanto prendendo in considerazione l’oggetto-libro nella sua materialità fisica. 

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