Poco rimane, salvo presso qualche nostalgico incallito, del movimento denominato “Internazionale Situazionista”, che fiorì (se così si può dire) in Francia tra gli anni Sessanta e Settanta e si diramò in vari paesi, tra cui l’Italia. Le utopie artistico-rivoluzionarie estreme di quella «bande de jeunes révoltés, bohèmes, désoeuvrés et utopistes» (come li definisce uno storico non certo avverso) hanno lasciato tenui tracce, e i loro numerosi scritti sono ormai quasi solo roba da eruditi. Tra le poche pepite che ancora se ne conservino, qualcuna si trova in certe pagine di Guy Debord, uno dei protagonisti. Sebbene richiedano una certa fatica a chi voglia ripescarle entro il tomo-mattone della serie «Quarto» di Gallimard che contiene le sue opere complete (complete davvero! includono manifesti, “inscriptions”, fotografie, ecc.), le sue intuizioni continuano a lanciare una secca luce radente sulla fase ultima della modernità – quella nelle cui acque oggi navighiamo e di cui Debord intercettò il momento nascente.
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