[passi diaristici ed epistolari trascritti e introdotti da J. Cook, a cura di M. Sonzogni, Ulivo, Balerna 2008]
Che cosa succederebbe se potessimo leggere il diario privato e le lettere di Laura o Beatrice? Potremmo comprendere in modo più profondo la poesia di Petrarca o di Dante? Sentiremmo forse un’assoluta o parziale distanza tra il personaggio poetico e la donna, tra l’arte e la vita e quale delle due figure o dei due campi di esperienza risulterebbe per noi, alla fine, più reale? La possibilità di rispondere a domande analoghe – ma una possibilità spostata nell’area della letteratura contemporanea – ci è ora offerta dalla pubblicazione di brani diaristici ed epistolari di Irma Brandeis, la donna amata da Montale tra il 1933 e il 1938 e da lui trasfigurata, tra le Occasioni e la Bufera, nel personaggio della donna-angelo e infine battezzata con il nome mitologico di Clizia. Dalla lettura di queste pagine emerge il ritratto di una persona complessa, animata da una vita interiore ricchissima e da una presenza nel mondo altrettanto intensa.
Il volume scandisce le tappe della formazione di Brandeis, dalla giovinezza – vissuta a New York durante gli anni Venti – agli anni fiorentini della maturità e dell’incontro con Montale – tutto l’arco degli anni Trenta – e si chiude con alcune riflessioni di età tarda (tra il 1980 e il 1983: quando lei stava per consegnare a Contini tutte le lettere di Montale in vista di una futura pubblicazione). Dal ritmo vorticoso della giovinezza, trascorsa tra gli studi al Barnard College, l’amore per Gino Bigongiari (docente nello stesso college universitario in cui si era formata Irma) e i lunghi viaggi tra Sutton Island, il Maine e l’Europa, emerge una nota dominante: il desiderio incalzante di essere una scrittrice, di scrivere romanzi. Un desiderio che nasce da una spinta esistenziale e non estetica, perché – dice Irma – «la vita non basta, […] la bellezza che è nella vita deve cristallizzarsi; deve essere isolata, altrimenti di fronte ad essa il cuore si spezzerà per l’impotenza» (p. 47).
L’incontro con Montale avviene quando l’aspirazione di lei si è già tradotta in velleità e in frustrazione. Nell’abbandono di Irma a un amore che pure, ben presto, si svelerà difficile, sporadico e tormentato molto deve aver influito il bisogno di compensare questo fallimento artistico. Dalla lettura di queste pagine apprendiamo che T.S. Eliot ed Ezra Pound sono al centro dei primi scambi intellettuali tra i due (p. 106): e siamo così confermati nell’ipotesi critica che ha visto proprio in Irma Brandeis una fondamentale mediatrice della linea di poesia e critica anglo-americana decisiva per la poetica di Montale. Altri indizi per la comprensione dei testi montaliani si possono cogliere qua e là (cfr. per esempio la presentazione che Irma fa di Costa San Giorgio, p. 115).
Ma ciò che più colpisce è misurare lo scarto tra la donna reale – una Irma certo rigorosa e nobile ma anche vitale, trasgressiva e irrisolta – e il personaggio poetico della donna-angelo, una figura segnata da una progressiva disincarnazione. Forse non troveremo risposte definitive ai quesiti posti all’inizio di questa recensione, ma sentiremo in modo inequivocabile che l’arte – anche la più sublimata – può essere più impura della vita.
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