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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Daniela La Penna, «La promessa d’un semplice linguaggio». Lingua e stile nella poesia di Amelia Rosselli

[Carocci, Roma 2013]

il libro di Daniela La Penna, «La promessa d’un semplice linguaggio», è dedicato all’opera di Amelia Rosselli, subito inquadrata come «uno dei fenomeni linguistico-espressivi più complessi della poesia italiana del secondo Novecento» (p. 13). Le attenzioni preminenti per la lingua e lo stile non saturano del tutto il terreno d’indagine su cui la studiosa decide di muoversi, come si evince, per attenerci al caso del primo capitolo (Percorsi isotopici in «Variazioni belliche»), dalle riflessioni sulla costruzione macrotestuale di Variazioni belliche o dall’analisi di temi e motivi (il limen, ad esempio).

Il titolo è mutuato da Impromptu, il lungo poemetto scritto alla fine del 1979: «Tarda tornavo alle parole / che mi sfuggivano; bloccata la promessa / d’un semplice linguaggio, il / languire era per esteso una fiaba / d’innocenza nella solitaria trovata / d’un riposo in piena aria, fingendo / di non essere massacrata da voi». Nella parabola letteraria della poetessa, il tentativo di approdo a un «semplice linguaggio» ha coinciso con la raccolta del 1976 Documento; eppure, vista l’evoluzione stilistica successiva, tale tentativo non ha avuto la forza di tradursi in un vero cambio di passo, rimanendo, per l’appunto, solo una «promessa», un impegno destinato a non essere mantenuto fino in fondo. Significativamente il saggio di La Penna focalizza l’attenzione su quanto Amelia Rosselli scrive prima, o semmai dopo, questa fase di normalizzazione linguistica cercata con Documento.

Già nella parte iniziale in cui è mostrato il passaggio tra le due sezioni di Variazioni belliche (qui il riferimento teorico sull’organizzazione del libro di poesia è unicamente lo studio di Testa degli anni Ottanta), il volume insiste sullo sperimentalismo di Amelia Rosselli, così da mettere in luce come alcune scelte, in contrasto con la tradizione, consentano tra l’altro di intersecare la cosiddetta «grammatica dei poveri».

È una lettura che approfondisce e sviluppa i precedenti rilievi di Bisanti (in L’opera plurilingue di Amelia Rosselli, del 2007), andando oltre, spingendo il discorso fino al legame con alcune figure e temi di marginalità così centrali in Variazioni belliche. E probabilmente la strada che gli studi rosselliani potranno intraprendere in futuro sarà mettere in relazione questi aspetti con la volontà, dichiarata più volte dalla poetessa, di essere politica. La grammatica dei poveri è anche lo sguardo antropologico, sulla scorta di Carlo Levi o Scotellaro, per i gesti e le azioni di contadini, è capacità di denuncia in versi: cappelli che si levano, uomini che si inginocchiano davanti ad altri uomini rivelando rapporti di forza.

Punto di arrivo di un proficuo e lungo lavoro critico, «La promessa d’un semplice linguaggio», nell’arco dei suoi cinque capitoli, affronta nodi relativi alla metrica (convincenti i rilievi sui debiti e la distanza rispetto alle teorizzazioni di Charles Olson), alla sintassi, all’uso dei tempi verbali (il ricorso a Weinrich permette di spiegare la differenza nella «progettualità lirica» tra la sezione Poesie e la sezione Variazioni), all’intertestualità nella poesia di Amelia Rosselli.

Proprio grazie allo strumentario della stilistica delle fonti, La Penna delinea con nitore la cartografia dei poeti a cui rimandano i versi di un’autrice da sempre così sfuggente e contraddittoria nel dichiarare i propri punti di riferimento. Tra le pagine compaiono dunque i nomi di Lautréamont, Campana, Rimbaud e Montale. Dopo Variazioni belliche e con Serie ospedaliera – lo spiega nel dettaglio il capitolo Tracce mnemoniche, spinte trasformative, metafore ossessive – «la dinamica della relazione intertestuale» tra Rosselli e il nostro maggiore poeta del Novecento fa un salto, tralascia «lo schema “ricevente-produttore” per trasformarsi in dialogo con la figura di Montale, piuttosto che con la sua opera» (p. 159).

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