allegoriaonline.it

rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Giovanni Jervis, Contro il sentito dire. Psicoanalisi, psichiatria e politica

[ a cura di M. Marraffa, Bollati Boringhieri, Torino 2014 ]

È il secondo libro postumo di Jervis: «per confrontarsi con la sua difficile eredità», dice la Premessa; che rifiuta di adattarsi a schemi imposti, dico io. Il volume riporta interventi già noti, rappresentativi dell’ultima fase del pensiero di Jervis (il grosso è degli anni 2000), in cui l’autore fa i conti con i principali temi della sua riflessione di 50 anni; c’è un unico inedito, relativo a un seminario dei DS del 2003, e vi troviamo anche il suo intervento Contro il relativismo nella discussione tenutasi a Siena nel 2006, introdotta da Romano Luperini. La novità è il saggio introduttivo di Marraffa (Giovanni Jervis: la ricerca della concretezza, pp. XIII-XCIV), che ricostruisce la biografia e il percorso intellettuale di Jervis su documenti inediti e sulle testimonianze dei familiari.

Appare ridimensionata l’operazione di «annessione al cognitivismo» di Jervis, presente nel precedente Il mito dell’interiorità (2011), che sottovalutava gli apporti di Freud e di Marx al pensiero dell’autore, come notavo nella recensione sul n. 64 di «allegoria». Era inevitabile riconoscerli, visto l’approccio storico del saggio e l’esplicito riconoscimento di Jervis a Freud e Marx nella «grande tradizione umanistica dell’Occidente» (dall’intervista che chiude il volume, p. 276). Marraffa riconosce: «Presa come forma di razionalità demitizzante, la psicoanalisi di Freud è allora una straordinaria teoria critica generale dell’individuo, che avvicina il pensatore viennese a Darwin e Marx» (p. LXV). In campo epistemologico, per quanto critichi con Jervis l’inevitabile «invecchiamento delle ipotesi freudiane», Marraffa deve riconoscere un rapporto rovesciato tra psicologia dinamica e cognitivismo: Jervis non ha mai rinunciato al «progetto di gettare le fondamenta di una psicologia dinamica nutrita dagli apporti della psicologia cognitivista e delle neuroscienze entro la cornice metodologica darwiniana, che costituisce il nerbo di Fondamenti di psicologia dinamica (1993) e Psicologia dinamica (2001)» (p. LXII). Il curatore attribuisce il concetto di «autoinganno» della mente umana, centrale nel pensiero jervisiano, solo alle recenti ricerche neurobiologiche, trascurando che la riflessione dell’autore muove dal concetto marxiano di falsa coscienza, come ho più volte ricordato.

Il nocciolo della questione non è l’adesione di Jervis al cognitivismo, ma il suo permanere nell’ambito del materialismo, appartenenza su cui il curatore glissa, preferendogli il termine generico di «concretezza», che banalizza una sofisticata riflessione epistemologica. Il saggio su Timpanaro (pp. 33-45) ne ribadisce tutte le ragioni, anzi riconosce che il grande pisano, con cui Jervis polemizzava sui «Quaderni piacentini» nel 1966, «sul materialismo aveva sostanzialmente ragione» (p. 39). Il fatto che Jervis riconosca un grande valore alle ricerche biologiche, alle scienze esatte e alla verifica delle prove, parte del suo armamentario critico, non significa una sua adesione tout court al cognitivismo. Né il suo riconoscimento che il liberismo e la democrazia occidentali siano il male minore va nella stessa direzione. Che Marraffa adombri una relazione tra questi bracci della costellazione teorica di Jervis è un’estrapolazione indebita che l’autore avrebbe criticato con gli stessi argomenti con cui prese le distanze dall’estensione delle teorie darwiniane alla società; una prova della vocazione del cognitivismo a essere il principale supporto del pensiero unico della globalizzazione capitalistica.

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