[ ETS, Pisa 2013 ]
In Sorpreso a pensare per immagini. Sciascia e le arti visive confluiscono due interessi di lunga durata dell’autrice: lo studio monografico sullo scrittore siciliano e la ricerca teorico-metodologica sui visual studies, cui Maria Rizzarelli si dedica da anni anche come co-direttrice della rivista online «Arabeschi». Questo duplice passo è esplicito sin dalla Premessa, che delinea le coordinate dell’approccio tipologico messo in atto, volto a ripartire il variegato spettro intermediale dell’opera narrativa e saggistica di Sciascia in tre distinte, per quanto correlate, sezioni che hanno quasi le sembianze di tre libri in uno: A immagine e somiglianza, Un’arte senza musa, E venne il cinematografaro.
La prima parte ha al centro l’«ordine delle somiglianze» che, sulla scia delle equivalenze di Longhi, Sciascia pone a fondamento della relazione fra letteratura e arti visive: dagli apparati iconografici di accompagnamento del libro d’esordio, La Sicilia, il suo cuore (1952), alla più avanzata funzione strutturale delle immagini come mise en abyme del racconto, ad esempio in Todo modo (1974). Dopodiché, Rizzarelli prende in esame la lunga militanza critico-artistica condotta da Sciascia, per quanto nella veste apparentemente understated del dilettante che, ispirandosi a Stendhal, pone al centro della propria attività il diletto dell’esperienza estetica e dell’amicizia con gli artisti. La seconda parte ha come principale oggetto la riflessione dello scrittore sulla fotografia, nonché le collaborazioni con i fotografi, in primis Scianna, mentre la terza è incentrata sui rapporti con il cinema: in particolare, lasciando fuori dal discorso le già molto studiate trasposizioni cinematografiche dei romanzi, la studiosa esplora il lavoro di Sciascia come sceneggiatore in vari documentari di ambientazione siciliana tra il 1964 e il 1970.
Se nella Premessa Rizzarelli aveva dichiarato di voler «pedinare» le tracce delle ragioni della passione di Sciascia per le arti visive entro un’inedita visione d’insieme, al termine del volume un simile obiettivo può dirsi raggiunto: per la densità e l’esaustività delle informazioni addotte, ma anche per il costante sforzo di offrire al dibattito critico sull’autore siciliano una chiave interpretativa di quello che si potrebbe definire il suo eclettismo visuale. E l’ipotesi che durante la lettura si fa strada è che il dilettantismo di Sciascia celi, a ben vedere, un’implicita autolegittimazione di letterato, che dal proprio status di scrittore trae il diritto di pronunciarsi sui più disparati temi artistici ed estetici. Del resto, come si legge in un passo del 1975, «la letteratura è il segno più alto della vita», al punto che «tutte le volte che nel disegno, nella pittura, nella scultura, nel cinema si è voluto esprimere quel che l’uomo ha dentro – sogno, incubo, segreto, ricordo – si è fatta letteratura». Di qui forse il senso più intimo della militanza del paragone delle arti sciasciano, che Rizzarelli insegue intessendo un paziente mosaico dei vari aspetti e definendone, per riprendere un termine decisivo dei saggi sul ritratto fotografico, la sostanziale entelechia letteraria: la lettura di Guttuso attraverso Verga, l’utilizzo di «categorie di ascendenza letteraria» da cui conseguono «parallelismi e analogie fra il piano verbale e quello visuale», l’«attrazione per il doppio talento», peraltro a volte «in perfetto accordo con il suo stesso modo di intendere la scrittura», «il riconoscimento della somiglianza [della scultura] con la scrittura» in nome del loro farsi «memoria di luoghi e di popoli», la curiosità per i fototesti e gli «scritti accanto alle fotografie», le letture evocate nel suo interesse per il ritratto, la faccenda pirandelliana in cui si risolve l’arte fotografica e che ritorna nella sua autobiografia cinematografica. Per questo Sorpreso a pensare per immagini si situa, oltre che al crocevia di un auspicabile rinnovamento metodologico dell’italianistica in senso teorico, anche nell’orizzonte di un’archeologia del sapere letterario nel Novecento.
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