[ a cura di M. Curcio, Franco Angeli, Milano 2014 ]
Che cosa intendiamo quando parliamo di brevità? È soltanto una questione formale? In quali forme si esprime? Se ne può parlare in termini di categoria estetica? È questo il nucleo centrale attorno a cui ruota l’indagine del libro Le forme della brevità: si tratta di un lavoro a più mani, a cura di Milly Curcio, nato in seno al XVIII Seminario interdisciplinare di Pécs che nell’ottobre 2012 ha riunito studiosi e scrittori presso il Dipartimento di Italianistica dell’università ungherese. Il progetto è in effetti ancora più ambizioso se si tiene conto di due dati in apparente contraddizione: il difficile inquadramento della narratio brevis, in particolar modo in ambito letterario, e, per contro, l’incredibile proliferazione di narrazioni brevi che da un ventennio a questa parte sta arricchendo il milieu editoriale e culturale italiano.
Le forme della brevità è suddiviso in capitoli, ognuno dei quali è dedicato ad un genere specifico: l’incipit, la poesia – con specifica attenzione per gli haiku e per la poesia italiana contemporanea – la prosa memorialistica di Hrabal e i racconti brevi di Orkeny e Calvino, gli aforismi di Machiavelli e Guicciardini, il madrigale cinquecentesco, le strategie narrative del poema didascalico, fino a giungere alla grammatica del fumetto e del cortometraggio. Oltre a questi capitoli, argomentativo-didascalici, ve ne sono tre che affrontano percorsi tematici (la brevità nell’arte, percorsi filosofici della brevità, brevitas nell’antichità) e tre che, destrutturando i pregiudizi e i cliché attorno alle forme brevi, ne delineano, in generale, pregi e peculiarità. In una molteplicità di approcci e di prospettive, e con un’ampia scelta di generi esemplificativi, il saggio mette in luce la problematicità della brevitas, cercando di dar conto di tutti i suoi aspetti più significativi: la brevità più strettamente quantitativa, che cioè ha a che fare con la shortness opposta alla longness delle forme piene in generale (romanzo e racconto, canzone e sonetto, lungometraggio e cortometraggio); quella che deriva dai dispositivi di contrazione e dilatazione del tempo; quella infine che delinea di per sé un “genere” a sé stante (si pensi all’aforisma o agli incipit). La questione delle “forme brevi”, soltanto apparentemente di ordine estetico-formale, diventa inevitabilmente anche di ordine contenutistico, ermeneutico e teorico. La brevità si pone dunque come problema centrale e insieme categoria estetica trasversale al sistema dei generi letterari: l’indiscusso merito del libro è infatti quello di avere ampliato la nozione di brevità, innanzitutto perché il lavoro degli studiosi non si limita ad esaminare soltanto la forma brevis per antonomasia, la short story, ma si estende agli altri generi “brevi” includendo quelli figurativi e cinematografici e, in secondo luogo, perché riconsidera le tradizionali “forme lunghe” alla luce della categoria della brevità. Il saggio curato dalla Curcio, che completa un altro suo importante lavoro, Le forme del racconto in Europa (2012), si inserisce nel dibattito sulla short story contemporanea, genere da sempre di difficile collocazione teorica e che oggi come non mai è protagonista di una nuova interessante fioritura.
E contro chi prospetta «la fine della dialettica» e «atrofia del pensiero» secondo una ben nota formula ripresa da Carlo Bordoni, c’è chi obietta al contrario che «lo scrittore brevilineo non si sottrae alle responsabilità etiche e civili e fa della propria scrittura, equamente dosata fra lettera e metafora, ossimoro e analogia, un efficace saggio di lettura della realtà» (Gino Ruozzi a p. 111). Brevità non è evidentemente sinonimo di semplificazione e il libro curato da Milly Curcio assolve in modo pertinente e approfondito al compito di smascherare la facile equazione tra pensiero semplice e forma breve, compiendo un’indagine sugli esiti prodotti dalla brevità, analizzando non solo la capacità che essa ha di elaborare discorsi complessi, ma anche le molteplici declinazioni che la sua duttilità le ha permesso di assumere nel corso dei secoli.
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