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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Martha Nussbaum, Giustizia poetica

[ Mimesis, Milano-Udine 2012 ]

L’attacco sferzato più di sessant’anni fa da Adorno e Horkheimer alla ragione speculativa nella Dialettica dell’illuminismo risulta quanto mai attuale, e prolifico di ulteriori aggiornamenti e correzioni. Rimossi i toni apocalittici dello stesso Horkheimer (in L’eclissi della ragione), negli ultimi decenni sono stati forse Habermas, con la sua indagine sull’“agire comunicativo”, e Taylor, nelle Radici dell’io, coloro i quali hanno cercato più tenacemente di risolvere l’aut aut in base al quale o si cedeva a una logica economica impersonificante o si prediligeva un individualismo iperrelativistico, alieno ad ogni forma di compromesso sociale. Proprio interagendo con le tesi di Taylor, Martha Nussbaum cerca invece una via frontale, volta non tanto ad aggirare la contraddizione, quanto a scovarne gli elementi produttivi.

I saggi raccolti in Giustizia poetica risalgono al ’95, e costituiscono il nocciolo di una riflessione filosofica su questo problema che ha trovato espressione più sistematica in lavori successivi. In questi scritti però, in maniera più marcata di quanto accade altrove, a essere centrale è l’opera letteraria, e il romanzo realistico nello specifico. Idea centrale di Giustizia poetica è infatti la «convinzione […] che la narrazione e l’immaginazione letteraria non siano l’opposto dell’argomentazione razionale, ma possano rappresentarne delle componenti essenziali»; talmente essenziali da indurre la Nussbaum a recuperare il motto di Withman che «ebbe a parlare del letterato come di un interlocutore assolutamente necessario».

La Nussbaum da molti anni insegna Law and Ethics all’università di Chicago: il suo orizzonte, pertanto, quando discute della ragione strumentale o economica, è quello del diritto, delle leggi, e della loro applicabilità ai singoli casi; ovvero di come un precetto universale e generale possa valutare un episodio unico e assolutamente irripetibile nei suoi tratti originali. È proprio in quest’ambito che la letteratura, in virtù del suo «oscillare tra il generale e il concreto », si offre come strumento privilegiato per comprendere il reale. Da un lato infatti l’opera letteraria non rinnega l’esistenza di un ordine trascendente, e semmai anche normativo; dall’altro, mettendo in gioco le emozioni del lettore, salva la specificità del fatto e le personali ragioni degli agenti: in questo modo l’universale della legge e il particolare della storia istituiscono una convivenza, a danno di quel secolare conflitto, volto alla supremazia di uno solo dei due poli.

Se ne ricava al tempo stesso che la partecipazione emotiva cessa di essere elemento di disturbo per una più esatta comprensione dell’accaduto (della ragione potremmo dire sbrigativamente), diventando invece il viatico per un superamento insperato dei limiti interpretativi dell’io. La letteratura però non è solo prezioso modello di analisi, ma soprattutto fertile laboratorio etico: «una valutazione etica degli stessi romanzi, nello scambio sia con gli altri lettori sia con gli argomenti della teoria morale e politica, è dunque necessaria per rendere politicamente fecondo il contributo dei romanzi »; una valutazione, aggiunge in più occasioni la Nussbaum, che è sia razionale che emotiva, al punto che il lettore, nell’atto della ricezione, è disposto a modulare e contrattare dogmi morali, al fine di una più piena realizzazione dell’eroe nello specifico, e dell’uomo in generale.

Insomma, sostiene la Nussbaum con una freschezza di linguaggio che non cede mai all’ingenuità, «l’immaginazione letteraria […] sembra una componente essenziale di una posizione etica che ci chiede di preoccuparci del bene di altre persone le cui vite sono lontane dalla nostra». È l’atto gratuito della lettura del resto a porre il fruitore di romanzi in una posizione oblativa nei confronti dei personaggi narrati: una posizione che per osmosi può estendersi anche agli uomini reali. Sicché l’indicazione offerta a suo tempo da Calvino in Il midollo del leone può tornare vigente e quanto mai rinvigorita: che cosa può insegnare la letteratura agli uomini? «a esser sempre più intelligenti, sensibili, moralmente forti

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