[ Quodlibet, Macerata 2022 ]
Leggere Čechov in Italia è come guardare a un pezzo di storia della cultura letteraria italiana attraverso tutte le lenti possibili, dal cannocchiale al microscopio. Chiuso il volume, l’aspetto che rimane più impresso è l’organicità con cui la ricchezza delle informazioni e la varietà delle prospettive critiche sono integrate in un percorso fluido e compatto, che passa per ingrandimenti progressivi dal panorama generale del campo letterario italiano nel trentennio 1905-1936 al dettaglio delle singole scelte lessicali nei testi tradotti. Sociologia della letteratura, storia delle pratiche traduttive, ricerca d’archivio su scambi epistolari e proposte editoriali, ricostruzione dei percorsi creativi e delle poetiche dei mediatori della letteratura russa in Italia, analisi dei temi e dei topoinei racconti, discussione comparata delle varianti: sono soltanto i principali tra i tanti livelli che si sovrappongono a comporre la stratigrafia critica di questo saggio. Ben al di là di quanto lascia immaginare l’understatement del titolo, il volume non è solo un riepilogo della presenza di Čechov in Italia nei primi decenni del Novecento, ma l’affresco di una provincia intellettuale e artistica italiana a cui Čechov fa da porta di ingresso e da punto di confronto, e a volte di scontro: un intreccio di competenze, progetti intellettuali e accademici, visioni del mondo che si alleano o confliggono sul campo di battaglia rappresentato dai testi cˇechoviani, dalla loro resa in italiano, dal giudizio di valore sulla loro qualità e sul loro posto nel canone (nella filigrana delle conversazioni e delle recensioni riportate c’è la sintesi di un’intera discussione tra gli intellettuali italiani che considerano Čechov un dignitoso novelliere minore e quelli che invece lo mettono alla pari dei grandi nomi del secolo d’oro russo). Una storia non solo dei libri ma delle persone dietro i libri, dove l’esattezza rigorosa della documentazione d’archivio è accolta da un senso generale di empatia e curiosità nella ricostruzione delle vicende umane dei personaggi che popolano il mondo della slavistica italiana tra Otto e Novecento, che sono ritrovati non solo nei loro ruoli di editori e traduttori, ma anche nei loro rapporti personali di conoscenza, collaborazione, amicizia, in una rete di relazioni che si estendono anche al di fuori dell’Italia, ad esempio negli ambienti dell’emigrazione russa europea, soprattutto parigina. Questa ricchezza di sguardi tocca il suo apice nel bellissimo capitolo centrale sulla traduzione della raccolta di Novelle di Čechov del 1936, in cui la biografia straordinaria e l’identità letteraria della traduttrice, Enrichetta Carafa Capecelatro duchessa d’Andria, si ritrovano incarnate nella finezza delle scelte traduttive, nel rapporto di rispetto verso i testi originali e quasi di assonanza poetica con la parola dell’autore, evidenziata dal confronto puntuale con altre versioni cˇechoviane degli stessi anni. L’attraversamento della raccolta, testo dopo testo, è in sé un piccolo libro nel libro, dove la poetica di Čechov viene portata in luce per confrontarsi con la cornice del modernismo italiano ed europeo, e trova nelle traduzioni lo spazio per far emergere la propria tragicità purgatoriale, l’ambiguità irrisolvibile delle situazioni umane, l’umorismo amarissimo che presenta al lettore elementi grotteschi o caricaturali, per poi subito interrogare il sorriso ambivalente che ha suscitato. Čechov in Italia è un ricco percorso che ci informa e ci sollecita a riflettere sul posto della letteratura tradotta nel campo della letteratura italiana, sulla storia e sui modi della traduzione, e in particolare sul ruolo delle traduttrici: donne (spesso russe o russofone, ma non sempre) di enorme cultura e spessore intellettuale, capaci non solo di fare da mediatrici linguistiche, ma di configurare una slavistica per molti versi più ampia e sfaccettata di quella accademica che si va costituendo a inizio Novecento.
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