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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Walter Barberis, Giovanni De Luna (a cura di), Fare gli italiani. 150 anni di storia nazionale

[a cura di W. Barberis e G. De Luna, Torino, Officine Grandi Riparazioni, 17 marzo-20 novembre 2011]

In Italia è raro che un museo, soprattutto un museo storico, riesca a essere efficacemente didattico, coinvolgendo il visitatore non tanto per il valore simbolico o estetico dei singoli oggetti esposti, quanto per i percorsi mentali suggeriti dall’esposizione. La mostra Fare gli italiani costituisce un’eccezione, che regge il confronto con i magistrali Deutsches Historisches o Jüdisches Museum di Berlino, i monumenti con cui la Germania riunita esibisce l’elaborazione del proprio passato. Non dissimile, d’altronde, è l’ambizioso obiettivo del team di storici che hanno strutturato il percorso espositivo: fare il punto su chi siano stati gli italiani nei centocinquant’anni della loro storia unitaria. Già lo spazio in cui è ambientata la mostra è carico di significato: nelle Officine Grandi Riparazioni si è effettuata la manutenzione del materiale ferroviario dagli albori dell’industria – e della nazione, che sui trasporti si costruisce non meno che sulle guerre o la scuola – fino all’abbandono post-industriale.

La vicenda dell’edificio riassume quella economica del Paese, ma gli spazi immensi delle OGR offrono suggestioni ambientali anche a chi ne ignori l’origine, prestandosi, come ogni sito di archeologia industriale, a una fruzione decontestualizzata ed estetizzata simile a quella con cui percepiamo una cattedrale. Quella che si snoda sotto le capriate enormi dei capannoni è innanzitutto una raccolta di oggetti emblematici: dagli attrezzi contadini di legno ai trattori della Fiat; dai busti dei padri (e madri) della patria ai manifesti delle prime elezioni del ’48; dall’attrezzatura di uno studio televisivo degli anni Sessanta a un’incredibile scultura da processione, costruita nel 2010 ma dal kitsch squisitamente ottocentesco, sconvolgente prova della non contemporaneità del contemporaneo.

L’unica sala tradizionalmente museale del percorso è la seconda, che raccoglie i dipinti che hanno costruito l’immaginario iconico del Risorgimento; ma la storia dell’Italia unita è tutta moderna, e a dominare è perciò la documentazione fotografica: originale, riprodotta o montata in documentari. Più che sulla parola scritta, il racconto passa attraverso l’immagine e il sonoro, che solo raramente è reperto d’epoca, più spesso voce dello storico o racconto teatralizzato: un video introduce i visitatori a ognuna delle scansioni cronologiche del percorso, illustrate dai pannelli esplicativi centrali che costituiscono il supporto informativo più tradizionale della mostra; altri schermi, incastonati nelle teche laterali, mostrano documentari che approfondiscono i temi o le vicende più importanti; in una delle inversioni a U del percorso, quella che segna il passaggio tra Otto e Novecento, si incunea una cavea teatrale, dove si assiste alla proiezione di frammenti del cinema che ha raccontato la storia d’Italia.

L’uso delle risorse tecnologiche per sollecitare i sensi e le emozioni dei visitatori culmina nelle installazioni multimediali che individuano il senso di alcune delle grandi “isole”, cronologiche o tematiche, del percorso. Le animazioni puntano ora sull’effetto spettacolare, come l’ouverture operistica del percorso; ora hanno valore documentario, come le voci di emigrati e immigrati che calano sul visitatore da un enorme ammasso di valigie, mentre ai suoi piedi appaiono gli oggetti-simbolo del racconto; ora sono vere e proprie creazioni artistiche originali, come la straordinaria animazione grafica e sonora che sintetizza il significato del percorso sulla partecipazione politica, dalle prime associazioni di lavoratori all’impero della politica televisiva. Se davvero, come è stato proposto, l’allestimento diventerà una mostra permanente, la nostra prima capitale potrebbe diventare anche la prima città italiana a possedere un museo storico all’altezza di quelli di altre capitali del Nord e dell’Occidente.

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