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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Alberto Mario Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo

[Laterza, Roma-Bari 2011]

Sublime madre nostra studia le tre «figure profonde » che reggono le idee di nazione e di patria in Italia, rivelandone retorica, intenti, effetti: la nazione è pensata come una famiglia, è una comunità sacrificale, si fonda su distinte attribuzioni di ruolo ai generi sessuali. Alle origini, «sono la lingua e la letteratura italiana che testimoniano dell’esistenza di una nazione italiana, e che ne fondano le ambizioni di riscatto politico »: ma sono basi così fragili, che il successo dell’unificazione è stupefacente. Un ruolo centrale spetta all’«estetica della politica» romantica (Mosse): accanto agli scritti politici, Banti cita «romanzi, poesie, drammi teatrali, pitture, statue, opere liriche » che in parte analizza, in parte lascia al lettore di ripensare. Il fascino del libro sta proprio nella capacità di leggere le opere dentro un discorso plurale, abbattendo i confini fra storia e storia dell’arte, letteratura e archivio, monumenti e documenti.

Ciò di cui si parla è un immaginario che trova forma nella cultura e nelle arti, e che non è riducibile all’ideologia o alla politica, poiché vive al di là di esse. Così, liriche e romanzi sono letti insieme all’elaborazione di miti collettivi (come quello di Garibaldi), al consolidarsi di sistemi di valori familiari fondati su onore e virtù, a vicende testimoniate dagli archivi (per esempio, gli episodi di intolleranza anti-austrotedesca a Venezia nel 1848); e poi, a unificazione avvenuta, ai riti dell’amor di patria, o alla capacità di inglobare il sacrificio, il martirio, la morte nel discorso pubblico, tenendo in uno De Amicis, la cinematografia patriottica, le cronache giornalistiche. La prima guerra mondiale consolida questi paradigmi, che Banti rintraccia in opuscoli commemorativi sui caduti ed epistolari.

Il discorso nazionalista, che segna i destini dei singoli oltreché del regno, non coinvolge certo tutta la società italiana: è, però, egemone, viene ripreso da una parte della Chiesa cattolica e confermato in seguito (le pagine sull’inumazione del milite ignoto al Vittoriano sono tra le più interessanti del libro). Allora, sarebbe utile rileggere in questo quadro non tanto le posizioni degli interventisti più esposti, dai giovani delle riviste ai futuristi a d’Annunzio, quanto l’immaginario di autori ideologicamente più complessi o defilati, da Pirandello a Gadda, o in cui la trasfigurazione figurale agisce con più forza, come Ungaretti. Il nodo è, naturalmente, la continuità tra fascismo e Risorgimento. Nonostante contraddizioni e incertezze relative ai concetti di «stirpe» e «razza», Mussolini «non fa che completare una progressione già potenzialmente insita nell’originaria matrice discorsiva, verso un irrigidimento irreversibile dei confini biopolitici della nazione » (p. 155).

Le leggi razziali e le norme sulle colonie sono allora «un’espansione argomentativa» di principi del Codice civile del 1865 (p. 165). Proprio perché tocca queste strutture di discorso, più profonde delle pur evidenti differenze politiche, Sublime madre nostra convince. Alla fine, Banti si domanda se davvero, per scongiurare i pericoli leghisti, abbiamo ancora bisogno di valori patriottici che si prestano a queste declinazioni o, più radicalmente, di un’identità nazionale. Che almeno da mezzo secolo il grosso degli intellettuali italiani vi abbia rinunciato, è evidente; ma non vi rinunciano gli Stati nazionali di cui, anni fa, si annunciava affrettatamente la fine. Se il passo ulteriore è istituire un senso di appartenenza civica e repubblicana fondato sull’universalità di diritti e doveri, come fondarlo nell’Italia del 2011, e con la storia che Banti racconta?

Fra le colpe che andranno imputate al berlusconismo, c’è anzitutto l’aver promosso la subcultura, l’interesse privato, l’illegalità, la corruzione, la compravendita delle coscienze a regole della vita individuale e politica. Alla necessità di un’etica comunitaria non si sfugge: e certo rimediare alla sua mancanza è più difficile che mobilitare vecchie retoriche. Abbiamo più bisogno di Stato che di nazione o di patria.

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