[il Mulino, Bologna 2010]
Che il titolo non inganni. L’obiettivo dichiarato, sin dalla Premessa, non è infatti quello di riscrivere «una storia del romanzo francese nel secolo del suo maggior fulgore […]. Semplicemente (o ambiziosamente) [il volume] vuole porsi come un’indagine moderatamente tecnica – diciamo una semiologia – della forma romanzo nei vari aspetti che ha assunto – nelle mani dei diversi autori – dagli inizi alla fine del secolo» (p. 9). «Raggruppamenti tematici», al cui interno vengono accomunati opere e autori affini, e progressivi cambiamenti delle strutture narrative sono i due strumenti con cui Agosti verifica l’evoluzione della narrativa francese del XIX secolo, nella convinzione che le due dimensioni non siano mai scisse, e soprattutto siano sempre conseguenza, o forse, più correttamente, rappresentazione dello Zeitgeist e dei principi epistemologici ed etici che regolano il soggetto di una specifica epoca.
Il Romanticismo, sostiene ancora Agosti sulla scorta di Foucault, rovescia l’«egemonia del cogito su cui si fondava l’ordine classico» (p. 11), per imporre la centralità dell’Io-sono, ossia di un io «che si riconosce ed afferma più secondo le modalità del sentire che non secondo le modalità del pensare» (p. 11). Chateaubriand, Mme de Stael e Costant dell’Adolphe sono i primi a costruire la configurazione narrativa del mondo anche attraverso le sensazioni del soggetto. Un’acquisizione, questa, che viene fatta propria contemporaneamente da Hugo, Vigny e Lamartine, capaci più di altri di agire sul linguaggio, e di renderlo concreta espressione della rinnovata centralità dell’Io- sento, e dai romanzieri fantastico-onirici, come ad esempio Gautier e Nerval, che indicano una zona oscura del reale (sovrannaturale o onirica), contigua e mescolata con quella del personaggio che la percepisce.
Il grande arcipelago romanzesco, più ancora che nel principio epistemologico esposto (ovvero la centralità dell’Io-sono/penso), trova il suo vero nucleo di aggregazione nella costante e continuata «esperienza della finitezza (della finitude)» (p. 12) che gli autori mettono in scena. Non stupisce pertanto che le prove migliori siano quelle che si sono concentrate sul concetto di tempo: Stendhal, che con la sua “scrittura dell’evento” ha «sommerso e occultato» «il principio stesso di causalità» (p. 96); Balzac, inventore «del tempo come factum» (p. 113); e Flaubert, il creatore di «una scrittura non lineare ma volumetrica» (p. 165). Saranno poi il Naturalismo e il Decadentismo, qui appaiati, a modificare non tanto la centralità del soggetto, quanto le strutture narrative, che, secondo Agosti, cominciano ad assumere tratti di deflagrante modernità (il ciclo zoliano, o l’antiromanzo di Huysmans).
Con la fine del secolo poi la forma romanzo entra definitivamente in crisi: Gobineau, Fromentin, Anatole France e Bourget sperimentano nuove forme; Jarry, con la scrittura dell’inconscio pre-surrealista, e soprattutto Dujardin (Les Lauriers sont coupés) le mettono in pratica. Si entra così nel Novecento. Tra gli autori non trattati, indice alla mano, il più citato è Proust. E accanto al suo nome si registrano quelli di Joyce, di Calvino, di Camus, addirittura di Arbasino. Il motivo è chiaro: il saggio di Agosti va letto anche come un tentativo di indicare quei fenomeni che sono sì centrali nella narrativa novecentesca, ma vengono già anticipati nel secolo precedente (la memoria involontaria dell’Adolphe, il sogno di Nerval, la struttura compositiva di Flaubert, ad esempio, preannunciano procedimenti della Recherche).
Ora, un’operazione di questo tipo, pienamente riuscita peraltro, consegna al lettore due concetti chiave indispensabili anche per comprendere quanto accaduto nel primo Novecento: 1) il romanzo modernista (Proust, Joyce) non rompe affatto con la tradizione, ma al contrario la saccheggia, assumendone alcuni dei suoi tratti essenziali; 2) il Naturalismo (su questo punto sono esplicite le pagine dedicate a Zola) non costituisce una barriera tra modernità e tradizione, ma solo un momento di svolta, capace di offrire nuove soluzioni compositive. Ne consegue che l’Ottocento narrativo, o almeno quello francese, deve essere letto nella sua totalità, lungo un percorso che avanza per continue evoluzioni piuttosto che grandi fratture; evoluzioni che trovano il loro seguito anche nel Novecento.
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