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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Marina Paino, La tentazione della leggerezza. Studio su Umberto Saba

[Olschki, Firenze 2009]

L’ultimo libro di Marina Paino rappresenta un’originale ed efficace lettura diacronica dell’opera di Saba alla luce del motivo-guida della leggerezza ed un’analisi attenta e rigorosa della poesia sabiana focalizzata su un tema fondamentale come la «costante ricerca di un’utopica immagine di leggerezza, sempre inseguita e mai compiutamente raggiunta » che caratterizza il Canzoniere sin dall’edizione del 1921 per poi mantenersi costante fino all’edizione del 1945.

La Paino ripercorre l’iter della scrittura sabiana indagandone il motivo ricorrente che la connota, ossia la ricerca continua, sofferta e voluta della condizione di assoluta leggerezza, di levità esistenziale a cui il poeta triestino aspira sin dagli esordi della sua carriera in contrapposizione netta con il dolente leopardismo e con il pessimismo (la pesantezza esistenziale, in sostanza) che informa la poetica e la poesia sabiane dei primi componimenti e che rimarrà costante, seppur in forma attenuata nel tempo, nel corso dell’intera produzione dello scrittore.

La Paino analizza con estrema puntualità ed efficacia questo dissidio interiore, questa ambivalenza affettiva che Saba registra con precisione nelle liriche del Canzoniere ed associa alla pesantezza esistenziale (al pessimismo, alla sofferenza narcisisticamente pronunciata) l’influenza letteraria di Leopardi e la componente materna ed ebraica, mentre riconduce la leggerezza e la giocondità alla lezione nietszchiana e alla componente paterna. Nella poesia di Saba convivono in sostanza due esigenze che si traducono formalmente in due tematiche fondamentali: la fedele e sincera, «onesta» descrizione della sofferenza personale, del proprio disagio esistenziale, della propria disarmonia e disforia psicologica, associata ad un’area lessicale e ad un contesto formale e stilistico di derivazione leopardiana, e il desiderio o la necessità di raggiungere una leggerezza, una giocondità esistenziale, una vita «all’insegna della spensietarezza, della noncuranza e di una liberatoria levità» di indubbia ascendenza nietzschiana e paterna.

La Paino quindi individua correttamente i due motivi conduttori della lirica e della prosa sabiane sottoponendoli ad uno studio attento e approfondito che evidenzia il materno leopardismo delle origini con la sua semantica «mortifera», dolorosa e la «tentazione della leggerezza», della levità e della giocondità esistenziale con il relativo immaginario «antidoloroso» ed «antimaterno» di derivazione paterna e nietzschiana.

Vorremmo concludere la recensione del libro della Paino con una breve riflessione su un aspetto che ci sembra costante nella poesia italiana del Novecento e che dovrebbe essere maggiormente indagato magari in un’ottica comparativa: la dicotomia esistenziale, l’ambivalenza psicologica e tematica individuate nella poesia di Saba ricorrono, con le dovute distinzioni e con le opportune differenze, anche nell’opera poetica di Montale e di Ungaretti in cui alla lucida descrizione rispettivamente dell’esperienza del «male di vivere» e del «dolore» si associano la volontà e il desiderio di raggiungere una situazione di levità esistenziale mediante uno stato di atarassia o di «divina indifferenza» o tramite le sospensioni del flusso temporale e le «intermittenze del cuore» (Montale) oppure facendosi «una docile fibra / dell’universo», aderendo cioè incondizionatamente all’indistinto naturale (Ungaretti).

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