[Postfazione di K. Theweleit, Einaudi, Torino 2009]
Le Sec et l’humide, il saggio pubblicato da Littell nel 2008 (Gallimard), allude all’opposizione tra due princìpi, su cui si baserebbe la struttura mentale del fascista. La scorta teorica di Littell è lo studio di Klaus Thewelheit, Männerphantasien, 1977 (parzialmente tradotto in italiano: Fantasie virili, 1997). Analizzando circa duecento tra romanzi e memorie di membri dei Freikorps negli anni 1918-23, Thewelheit aveva ricavato un modello psicologico del fascista: un Io esteriorizzato come una specie di muscolare carapace trattiene all’interno le pulsioni grazie al sostegno di un’ulteriore corazza sociale – l’esercito e altre istituzioni coercitive. La femminilità e la liquidità sono le due forme che minacciano la rigidità su cui poggia la fragile costruzione della psiche fascista.
Littell ha provato ad applicare il modello di Thewelheit al fascista belga Léon Degrelle, autore di La Campagne de Russie. Ammiratore di Hitler, durante la campagna di Russia Degrelle giunse ad assumere il comando della Legione «Wallonie» nelle Waffen- SS. Il libro che racconta la sua ambigua epopea venne scritto nel 1945, subito dopo la fuga in Spagna, dove Degrelle, condannato in patria, finì i suoi giorni. Le memorie belliche del piccolo Hitler vallone – osserva Littell – sono infarcite delle stesse opposizioni che caratterizzano la mentalità del fascista-tipo di Thewelheit: il secco e l’umido, appunto, ma anche il duro e il molle, l’eretto e lo sdraiato, ecc.
Le immagini – ritratti e fotografie dell’epoca – e le ampie note di commento formano quasi un libro nel libro, un documento a sostegno delle ipotesi. È tutto molto interessante, soprattutto perché Littell è l’autore delle Benevole e perché – è lo scrittore stesso ad ammetterlo – Il secco e l’umido nasce da una costola delle medesime ricerche condotte durante l’elaborazione del romanzo. La stessa idea di seguire la Storia attraverso la vicenda di un SS sembra accomunare l’opera maggiore a questa, inevitabilmente ancillare. Niente di male: finché i temi rimarranno quelli e le future opere di Littell non raggiungeranno il respiro delle Benevole, non si potrà fare a meno del confronto con il capolavoro. I problemi sono altri e riguardano in parte Littell, in parte Thewelheit.
Il secondo, che nella postfazione scrive di considerare «la realtà politica omicida di uno Stato fascista» conseguenza «degli stati corporei devastanti di cui soffrivano i suoi protagonisti », che lo voglia o no, interpreta il fascismo come somma di patologie individuali, strettamente connesse alla sfera sessuale. Ma poi, di quale fascismo stiamo parlando? Di un Fascismo Universale e metastorico? Parrebbe di sì, nonostante Thewelheit leghi le sue ricerche a un’epoca e a una generazione precise. Qui cominciano anche le responsabilità di Littell, che nel Postscriptum giudica il modello “secco vs umido” estensibile «a tutto il mondo occidentale».
E non solo: russi, sudamericani e islamici non ne sono estranei. Si tratta di un uso un po’ troppo disinvolto, innanzitutto sul piano logico, delle ‘fantasie virili’: Littell ne trae spunto per dedurre il caso particolare di Degrelle, ma poi di nuovo si lancia, senza rete, verso il generale. O, meglio, verso il generico, data la banalità delle categorie evocate (buone persino per il linguaggio politico nostrano): duro, molle, secco e via misurando. Le Benevole è un’opera importante perché supera un tabù “adorniano”: di Auschwitz si può fare romanzo, rinunciando a retroversioni temporali, reticenze, mediazioni. Il che implica una nuova assunzione di responsabilità, che ci riguarda proprio perché l’Olocausto non è distopia e non scardina le leggi del tempo. Non è fuori ma dentro la Storia. Il secco e l’umido, mentre si colloca sulla scia delle Benevole, ne contraddice i risultati, sfumando la colpa nell’handicap psicologico e la Storia in vaghi limiti universali imposti dal gender.
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