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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Angela Borghesi, L’anno della «Storia». 1974-1975. Il dibattito politico e culturale sul romanzo di Elsa Morante. Cronaca e Antologia della critica

[Quodlibet, Macerata 2018]

Il 20 giugno 1974, nella collezione economica «Gli Struzzi» e al prezzo di duemila lire per una prima tiratura di centomila copie, Einaudi pubblica La Storia. Romanzo. Questi pochi elementi offrono già le coordinate essenziali per comprendere i temi attorno cui ruota il testo di Angela Borghesi, imponente volume di 900 pagine in cui l’autrice si propone di ricostruire il dibattito politico e culturale su quello che fu non solo «il caso letterario italiano più rilevante e politicamente connotato» (p. 18) degli anni Settanta, ma, a posteriori, «il caso letterario tout court» (p. 75). Accesa, pervasiva e duratura fu la polemica che si creò intorno al libro di Elsa Morante, una scrittrice in grado di imporre la propria voce e di far parlare di sé nonostante la sua ostinata assenza dalla scena del dibattito pubblico. Attraverso una preziosa ricerca di fonti, Borghesi recupera oltre 350 scritti sulla Storia usciti tra il giugno del 1974 e l’agosto del 1975. Della gran parte di essi è composta la corposa Antologia della critica (quasi 500 pagine), preceduta da una Cronaca in cui l’autrice ripercorre le tappe più salienti della disputa, seguendo un’impostazione cronologica che sembra far eco a quella del libro di cui parla. A connotare il volume è la presenza di due anime diverse e complementari: da un lato il taglio accademico del minuzioso lavoro d’archivio, dall’altro il registro saggistico della rassegna che ne dà conto. Lo stile è incisivo, le note a piè di pagina rarissime e l’incursione nella polemica è attuata creando attesa e suspense.

Innanzitutto, dunque, l’anno: 1974. È un periodo che vede la presenza massiccia di una critica militante ideologicamente impegnata e il predominio di poetiche sperimentali. La prima ondata neoavanguardista si è ormai esaurita, ma i problemi letterari e culturali che aveva sollevato sono ben lungi dall’aver trovato risposta. L’avversione al novel è massima e, proprio nel momento in cui sembra impossibile praticare questo genere se non a patto di prefissazioni (anti, iper, meta), La Storia. Romanzo si presenta sin dal titolo come ciò di cui il Gruppo 63 aveva tentato di sbarazzarsi. Ecco il primo elemento che la critica non volle accettare, soprattutto quella di stampo marxista. Morante – affermano – fa regredire la letteratura italiana all’Ottocento. Il suo è un libro anacronistico, inquinato per di più da un sincretismo che rifiuta le ideologie del tempo. Si sprecano i confronti in negativo con Corporale, il libro di Volponi che aveva di poco preceduto la pubblicazione della Storia presso Einaudi. Dopo Morante, la casa editrice è il secondo bersaglio polemico. Con il basso prezzo di copertina e il battage pubblicitario, Einaudi offriva il primo esempio di una strategia editoriale di consumo in Italia, un paese in cui l’assenza di una vera tradizione di romanzo popolare aveva reso il divario tra letteratura alta e di consumo molto più netto che in altri paesi. Anche per questo si poté così facilmente bollare il libro come feuilleton strappalacrime. Ancor peggio, il libro è un best seller, e siccome il luogo comune sbandierato su più fronti vuole che il successo sia inversamente proporzionale alla qualità dell’opera, qual è allora la differenza tra Morante e Liala?

A queste posizioni Borghesi, che non nutre il minimo dubbio sul valore della Storia, non può che guardare con ironia, facendo notare gli errori marchiani, le faziosità, i partiti presi di una critica cui non di rado fa il verso. Così, non solo compie un atto di storicizzazione della polemica, ma si situa polemicamente rispetto a essa, facendo emergere un “pathos della distanza” che si fa sintomo della diversità di due orizzonti culturali. Perché, nel bene e nel male, l’Italia del dopoguerra non è più l’Italia di oggi: i grandi paradigmi ideologici di quel periodo sono crollati e, nonostante l’incremento dei forum mediatici, il dibattito del 19741975 «costituisce un fenomeno sociologico di militanza culturale impensabile oggi» (p. 18). 

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