[trad. it. di L. Flabbi, L’orma, Roma 2017]
Memoria di ragazza parla dell’estate del 1958, quando Annie Duchesne (vero nome di Annie Ernaux) lascia per la prima volta la casa dei genitori per fare l’educatrice in una colonia estiva. È l’estate della libertà, della smania di perdere la verginità e della paura di non essere all’altezza; l’estate delle vessazioni, della sottomissione alla crudeltà degli altri pur di provare l’eccitazione di appartenere a una comunità, perché «la felicità del gruppo è più forte dell’umiliazione» (p. 99). Memoria di ragazza racconta anche la vita di Annie Duchesne nei mesi successivi, quando persegue un disperato programma di perfezione e diventa «preda della passione più triste che ci sia, quella del cibo, oggetto di un desiderio incessante e rimosso che non può realizzarsi altrimenti che nell’eccesso e nella vergogna» (p. 157).
Ogni volta che Annie Ernaux ripensa alla ragazza che era lei nel ’58 ha una sorta di mancamento: «Se il reale è ciò che agisce, produce degli effetti, secondo la definizione del dizionario, questa ragazza non è me ma è reale in me. Una sorta di presenza reale» (p. 27). Questa presenza è così forte perché niente sembra esserci in comune tra la scrittrice di oggi e quella ragazza del passato. Ernaux non crede ci sia continuità nell’io, non crede in un’identità coerente, raccontabile; l’ideale sarebbe quindi ritrovare i desideri e le sensazioni di quella ragazza del ’58 dimenticandone il futuro, abolendo gli psicologismi e la tentazione della causalità: «cosa scegliere di dire, dunque, che parole usare per coglierla, così come è esistita là, in quel pomeriggio di agosto sotto il sole variabile dell’Orne, ancora all’oscuro di ciò che soltanto tre giorni dopo sarà per sempre alle sue spalle, in quel preciso momento senza spessore, svanito da più di cinquant’anni?» (p. 32).
Memoria di ragazza non è la riproduzione di un passato, ma il tentativo di includere lo scorrere del tempo nella scrittura e usarlo come palinsesto di un racconto collettivo. E «palinsesto» è un termine dal sapore neoavanguardistico che Ernaux ha usato spesso, in formule diverse («sensazione palinsesto», «tempo palinsesto», «vita palinsesto»), ma sempre per indicare quel procedimento che consiste nel riconsiderare la propria vita all’interno di un’esperienza comune, e trovare «la memoria della memoria collettiva in una memoria individuale», come ha fatto negli Anni. Per condividere con il lettore il passaggio del tempo storico in un tempo individuale, cogliendo un residuo di realtà nella molteplicità evanescente dei ricordi.
Ernaux considera la memoria come una forma di conoscenza non molto diversa da quella delle cosiddette scienze umane, che si basa cioè su un metodo e ha come obiettivo la comprensione di una determinata realtà. In Memoria di ragazza parla di questo metodo, di una «nuova sintassi» (p. 85) in cui fondere esperienza individuale e collettiva per raccontare un momento d’inconsapevolezza estrema, quando la vita era desiderio allo stato puro, e aggiungere così un nuovo tassello all’ autobiografia oggettiva che sta scrivendo da più di quarant’anni. Poco dopo la metà del libro si legge: «ci sono solo due tipi di letteratura, quella che rappresenta e quella che cerca, e l’una non vale più dell’altra se non per colui che sceglie di dedicarsi all’una piuttosto che all’altra» (p. 150). Senza dubbio per Ernaux ogni libro è un’inchiesta che scandaglia nuovi luoghi della sua e della nostra esistenza. Malgrado tutte le analisi, però, qualcosa di oscuro rimane: «nel progressivo aggiornamento di quella verità dominante su se stessi che la narrazione di sé ricerca per assicurare una continuità dell’esistenza, c’è sempre un elemento mancante: l’incomprensione di ciò che si vive nel momento in cui lo si vive, quell’opacità del presente che invece dovrebbe bucare ogni frase, ogni asserzione» (p. 177-178). E per fortuna, perché la vita non è fatta per finire proprio tutta in un libro.
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