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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Matteo Di Gesù, L’invenzione della Sicilia. Letteratura, mafia, modernità

[Carocci, Roma 2016]

Con la raccolta di saggi, in numero di sei, che con­fluiscono in questo compatto volume, Matteo Di Gesù affronta un tema squisitamente “culturale” e al tempo stesso pienamente interno alla tradizio­ne critica e letteraria: quello della Sicilia come sog­getto, e al tempo stesso oggetto-laboratorio, di una “costruzione” culturale che passa per la lette­ratura, e non solo per quella cosiddetta creativa. Che la Sicilia sia anche una «invenzione», ossia una ricostruzione narrativa, una interpretazione retro­spettiva operata dalla voce pubblica e dai letterati, è di fatto un dato poco controvertibile, utile, peral­tro, solo se ci si libera di pregiudizi folklorici di ogni genere, positivi e negativi, e soprattutto parziali e intercambiablii. L’invenzione di una tradizione, os­sia una ritualizzazione stereotipata del passato, è del resto, insegnava Eric Hobsbawm, un elemento della politica oltre che della storiografia. Solo dopo queste premesse, ossia dopo aver, per così dire, “laicizzato” la questione (e certo questo è il terre­no su cui si muove Di Gesù), essa, ossia l’«in­venzione», appare una chiave interpretativa lecita e fruttuosa, e anzi uno strumento necessario per rivedere, attraverso la letteratura, l’isola e la sua cultura, e in prospettiva anche quella italiana nel suo complesso. Giacché di “invenzioni” la Sicilia ne ha dovute subire tante, e quasi tutte a suo danno, anche e soprattutto quelle che l’hanno disegnata, nel tempo, come luogo di meraviglie. Sta qui il merito di numerosi scrittori (Verga in te­sta, come accade di solito, ma in buona compa­gnia) che partecipando a tale invenzione hanno operato in maniera da demistificare gli stucchevoli luoghi comuni che hanno riguardato la loro terra. Ed è anche il merito dell’indagine di Di Gesù, che ha affrontato e presentato figure e temi di primo piano anche se non sempre note a un gran pubbli­co. Lo studioso si colloca sulle tracce più fruttuose già lasciate da Sciascia saggista e narratore: ad esempio nel rilievo dato a Francesco Paolo di Blasi, protagonista suo malgrado di Il consiglio d’Egit­to, certo, ma anche “in proprio” personaggio stori­co grande e tragico. O si veda anche come rico­struisca aspetti testimoniali del romanzo risorgi­mentale (storico o controstorico che esso sia valu­tato), a partire da eventi tutt’altro che romanze­schi ed edificanti della storia dell’Italia unita (il ro­manzo-saggio sull’assassinio Notarbartolo del co­masco Paolo Valera ne è un esempio.) Inevitabilmente la mafia diventa una delle questio­ni centrali dell’immagine della Sicilia. Anche qui Di Gesù si rifiuta giustamente di accedere al reperto­rio stereotipato delle immagini dei mafiologi e dei giornalisti, che tende a ricondurre fenomeni socia­li e politici al campo del costume o della “mentali­tà”. E così viene riletta, ad esempio, La chiave d’o­ro, novella che lega Verga a Sciascia (quest’ultimo ha, naturalmente la parte di maggior rilievo, essen­do protagonista di almeno tre sui sei saggi presen­ti nel libro). A mio parere lo scrittore di Racalmuto forza qui un po’ troppo le indicazioni verghiane re­lative alla mentalità “mafiosa” (il Mastro-don Ge­sualdo mi appare in verità infinitamente più ricco di questa novelletta); ma non c’è dubbio che le pa­gine più fruttuose ed acute siano probabilmente quelle che leggiamo nel quinto dei saggi, dedicato al «”mafiologo” contro voglia» Leonardo Sciascia, principale “inventore” della Sicilia fra i letterati. A Sciascia Di Gesù attribuisce giustamente il merito di una lettura acuminata e certo tendenziosa, ma soprattutto antagonista di quell’«essenzialismo si­ciliano» di cui è stato importante esponente ed apologeta, ad esempio, un Pitrè (ma anche un Capuana, di fronte a Verga) e che molti danni ha fatto a Sicilia e siciliani.

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