[University of Toronto Press, Toronto-Buffalo-London 2016 ]
Tra i contributi apparsi durante il centenario della Grande Guerra e dedicati alla cultura degli anni del conflitto, il libro di Selena Daly sul futurismo è uno dei più interessanti, non solo per l’accurata ricostruzione della guerra vissuta e combattuta dal gruppo futurista, ma soprattutto per l’immagine criticamente aggiornata che di essa emerge. Partendo da una serie molto resistente di luoghi comuni storiografici, secondo cui il futurismo fu una forza trainante nel dibattito sull’intervento tra l’agosto del 1914 e il maggio del 1915, Daly propone un quadro inedito della politica culturale del gruppo guidato da Marinetti. Per molto tempo, la discussione sul futurismo e la guerra ha dato per scontata la versione ufficiale dei futuristi stessi, senza metterne in questione l’efficacia, le esagerazioni e anche gli opportunismi. Daly compie un’operazione critica esemplare andando ad esplorare, con un ampio supporto di fonti edite e inedite, l’intercapedine che separa l’immagine propagandata dal gruppo stesso e la realtà delle sue strategie di posizionamento all’interno del campo letterario italiano. Quella che Daly racconta è una storia nuova, fatta anche di insuccessi mediatici – come dimostra l’ottima ricostruzione delle prime manifestazioni a favore della guerra – e di tentativi di orientare in una direzione meno avanguardista il lavoro culturale del gruppo. La partecipazione alla prima guerra mondiale diventa, in quest’ottica, un evento decisivo nella storia del futurismo italiano non tanto perché traduce in una dimensione performativa uno dei più forti nuclei di immaginazione dei primi manifesti – Daly ridimensiona questa idea – quanto perché è la guerra a rendere veramente “popolari” i futuristi, assicurando loro una posizione finalmente centrale nel campo e facendone i campioni della difesa della nazione italiana. Il passaggio dalla marginalità dei mesi della neutralità – Marinetti raccomandava a Cangiullo che ci si doveva preparare alla guerra «in silenzio» (p. 17) – al riconoscimento pubblico degli anni al fronte è frutto di una strategia molto recisa di riconfigurazione dell’immagine del movimento: volendo utilizzare le categorie della sociologia della cultura di Bourdieu – che forse avrebbero reso l’analisi di Daly ancora più efficace – la traiettoria dei futuristi passa da una serie di posizionamenti da nuovi entranti, che seguono le logiche auto-marginalizzanti dell’avanguardia, a un processo di normalizzazione e accreditamento presso un pubblico più ampio. Daly individua già nel manifesto del dicembre del 1915 il primo passo decisivo verso un «futurismo moderato»: un obiettivo che, concretamente, Marinetti perseguirà modificando fisionomia del suo destinatario. All’interno di questo quadro Daly legge la produzione teatrale del 1916, che si distingue sensibilmente dalle serate futuriste pre-belliche e che, in generale, suscitò reazioni più favorevoli sia presso il pubblico sia presso la critica: soldati che stavano attivamente combattendo al fronte non potevano essere sbeffeggiati o liquidati come provocatori. La pubblicazione dell'”Italia Futurista “nello stesso anno consolida questa strategia di promozione di un’immagine rispettabile e moderata del gruppo proprio grazie all’operato dei suoi membri al fronte. Daly nota come non solo la linea della rivista converga su posizioni invalse nell’opinione comune, ma che anche la partecipazione di intellettuali estranei alla cerchia dei futuristi (Quasimodo, Deledda, Negri) contribuì a sbiadire il ricordo del futurismo pre-bellico: la celebrazione apocalittica della guerra aveva lasciato il posto a uno spirito più patriottico ed eroico. Ulteriore segnale di questo cambio di passo è il best–seller di Marinetti Come si seducono le donne (1917), che dismette qualunque pretesa sperimentale e si rivolge a una readership ampia. Ne emerge un quadro nuovo, mosso e stratificato, che invita ad esplorare il segmento successivo della storia del movimento, quello del pieno ventennio fascista, con strumenti analoghi.
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