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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Valentina Supino, I soggiorni di Dostoevskij in Europa e la loro influenza sulla sua opera

[LoGisma, Firenze 2016]

Il saggio di Valentina Supino, psichiatra e psicoana­lista, primario a La Salpetrière di Parigi, ricostruisce i due soggiorni di Dostoevskij in Europa (il primo dal 1862 al 1864, appena rientrato dal lungo esilio in Siberia; il secondo di esilio volontario per sfuggire alla prigione per debiti dal 1867 al 1871) in un per­corso ben documentato. La fonte principale per la ricostruzione del primo viaggio sono le Note inver­nali su impressioni estive (1863) – «un diario di viaggio» che «si trasforma […] in un pamphlet di accusa contro l’Occidente», troppo asservito ai va­lori borghesi (p. 1O) – oltre all’epistolario dell’autore, al Diario di uno scrittore ed ai riscontri del Diario di Apollinarja Suslova, donna emancipata, femminista e nichilista, amante di Dostoevskij, sposato con una donna siberiana allora gravemente malata. La rela­zione burrascosa inizia e finisce durante il viaggio soprattutto per le divergenze sull’emancipazione femminile e le “perversioni” di Dostoevskij (“bruta­lità sessuale” e feticismo dei piedi, che ritroviamo nel Giocatore, nelle Memorie del sottosuolo e nell’Idiota). È la prima “influenza” secondo Supino: l’at­teggiamento critico verso tutto, che emerge dalle Note invernali, sarebbe l’abbozzo del «personaggio che prenderà forma l’anno dopo nelle Memorie del sottosuolo» (p. 21). Già in questo viaggio emerge la passione per l’azzardo di Dostoevskij con le sue frequenti visite ai casinò, in particolare a Baden­ Baden, dove ambienterà Il giocatore. Supino propo­ne per lui il classico circuito delle persone dedite all’azzardo: la “pulsione” che lo spinge al tavolo della roulette, il piacere, il senso di colpa con la conseguente autopunizione, per cui si stacca dalla roulette solo quando ha perso tutto. Ma per Dosto­evskij l’azzardo «alimenta la sua creatività» (p. 35). Nel 1865, di fronte all’ennesima catastrofe al casinò di Wiesbaden propone al «Messaggero russo» De­litto e castigo, proiettando «i propri sentimenti su Raskol’nikov proprio nel momento in cui l’idea di questo romanzo, basato proprio sul senso di colpa e sull’espiazione, prende forma nella sua mente» (p. 35). Nel secondo viaggio Dostoevskij è accompa­gnato dalla sua seconda moglie, Anna Grigor’evna, conosciuta come stenografa, a cui dettò Il giocato­re (1866), per onorare i tempi del contratto cape­stro con l’editore Stellovskij. Durante i quattro anni di esilio i coniugi hanno due figli, la prima dei quali morirà a soli tre mesi mettendoli a dura prova. Sono gli anni dell’ideazione de L’idiota e dalla sua stesura, che la Supino vede legata ad un processo di accet­tazione dell’epilessia, di cui lo scrittore soffriva, e all’approfondimento della sua fede cristiana: il pro­tagonista del romanzo, il principe Myskin «buono e puro», contrapposto al deuteragonista «malvagio e passionale» Rogozin (p. 83), soffre di attacchi epilet­tici ed è paragonato al Cristo. Secondo Supino «si potrebbe anche supporre che ogni attacco di epi­lessia del protagonista simbolizzi una morte e una resurrezione» (p. 80). Nelle traversie dei due esuli inseguiti dai debiti, le incursioni di Dostoevskij alla roulette si susseguono con la complicità della mo­glie che talvolta promuove le sue visite al casinò per risollevarne il morale, in una dinamica oggi nota nel rapporto coniugale delle persone addicted. É strano che Supino non citi il saggio di Freud Dosto­evskij e il parricidio (1927), che è dedicato proprio all’”istero-epilessia” e alla passione per l’azzardo dello scrittore, se non in un generico riferimento in nota (n. 90, p. 73). L’ultimo capitolo del saggio, «Conseguenze dell’e­silio», sembra quasi deludente rispetto ad una così ricca ricerca. Le “influenze” si riducono in sintesi a due: «la solitudine dell’esilio […] ha indot­to [Dostoevskij] a un’ulteriore riflessione sulla pro­pria fede» (p. 122); il cambiato rapporto con l’arte (nel secondo soggiorno l’attenzione dello scrittore per l’arte delle città europee visitate è molto più rilevante rispetto al primo viaggio). Egli stesso scriverà ne L’idiota: «Il principe, lui, all’estero ha imparato a guardare». Non è poco.

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