[Elèuthera, Milano 2016]
Uno dei libri più interessanti del panorama filosofico-politico contemporaneo è senza dubbio Il deserto della critica di Renaud Garcia. Nell’arco di poco più di duecento pagine, l’autore ricostruisce con passione autentica lo sviluppo del pensiero decostruzionista e della sinistra radicale, ne presenta i forti limiti, e offre prospettive per il futuro. I pilastri delle sue argomentazioni affondano nell’anarchismo storico (Bakunin, Kropotkin), raggiungono il pensiero critico di Orwell e Russell, Adorno e Horkheimer, attingono alle influenze esplicite di Goodman, lllich, Gorz, Lasch, per approdare al pensiero della decrescita (Gorz, Latouche, Castoriadis). Nei cinque capitoli (più le conclusioni) di cui il libro si compone, l’autore affronta i temi del nostro rapporto con la società dei consumi, con l’eredità dell’Illuminismo, con l’idea di “comunanza” quale livello intermedio fra particolare e universale, indagando le possibili resistenze al Sistema. Garcia sferra un attacco feroce a Foucault, Derrida e al femminismo radicale, dimostrando come numerose scuole di pensiero odierne, spesso appartenenti al radicalismo di sinistra, si appoggino al pensiero decostruzionista, ne sfruttino alcune intuizioni, ma solo per raggiungere vere e proprie aporie filosofiche. Nel momento in cui il decostruzionismo o il cosiddetto post-anarchismo esistenzialista assumono come grimaldello critico la distruzione di ogni essenzialismo, finiscono – in realtà – per cancellare qualsiasi possibilità di critica. Se ogni entità socio-politica viene collocata – in quanto subordinata al Potere – in un groviglio inestricabile, diviene sterile ogni riferimento a un sistema condiviso di valori e, dunque, finisce per vanificarsi qualunque tentativo di ribellione e di riscatto. Per questo motivo Garcia non ha paura di riproporre nel dibattito critico concetti come “natura”, “natura umana”, “valore”, “etica”, “socialità”, “condivisione”, termini che i foucaultiani respingono perché troppo implicati con le ideologie onnicomprensive del passato. Un esempio chiarificante riguarda l’atteggiamento nei confronti del linguaggio, disintegrato dai decostruzionisti fino al proprio annullamento. Distruggere la lingua comporta anche cancellare una verità condivisibile e comunicabile: «nel contesto attuale, mi sembra politicamente più importante lottare per conservare le virtù di un linguaggio che possa dire la realtà nel modo più chiaro possibile, piuttosto che accelerare la sua decomposizione, con il pretesto che c’è in germe, in ogni atto di abuso del linguaggio, il lampo di genio di un Artaud» (p. 78). Sfuggendo a ogni accusa di passatismo o, addirittura, di fascismo, Garcia rivendica un atteggiamento dialettico, in grado di recuperare il confronto storico con la realtà e con le sue devianze. L’accusa principale verso ogni decostruzionismo consiste, allora, nel rifiuto di accontentarsi di una battaglia di retroguardia e interstiziale, per aspirare o tentare di aspirare a una liberazione più alta e concreta. Non si tratta di cancellare le norme perverse del capitalismo, ma di contestare il capitalismo in quanto tale, in nome di valori condivisi e utilizzando un linguaggio il più possibile chiaro ed efficace: «La critica dell’Illuminismo inaugurata dalle correnti del la decostruzione, e spesso ripetuta oggi tale e qua le negli ambienti intellettuali e militanti, rischia dunque di lasciarci con meno strumenti per criticare l’ordine attuale delle cose di quanto suppongano i suoi fautori» (p. 96); o, in termini ancora più espliciti e polemici, «bollando il vernacolare come l’espressione museale di un mondo perduto e il pensiero di lllich come irrimediabilmente compromesso dalle sue ascendenze cristiane, molti di quelli che schierandosi orgogliosamente sotto la bandiera della decostruzione oggi rivendicano l’etichetta di “rivoluzionario”, “radicale” o “libertario”, in sostanza non fanno che accelerare la sottomissione di ogni vita alla logica espansiva dell’economia e del controllo cibernetico» (p. 216). Reagire a questa deriva è l’unico gesto autentico per tutelare una partecipazione politica piena e condivisibile.
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