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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Nikki Skillmann, The Lyric in the Age of the Brain

[ Harvard University Press, Cambridge (Mass) 2016 ]

Il primo libro di Nikki Skillman rappresenta un importante contributo interdisciplinare allo studio della lirica del secondo Novecento, nelle sue «trasformazioni tecnologiche, storiche e filosofiche». Combinando due dei principali metodi della scuola statunitense – la teoria e il close reading –, attraverso un’analisi dei rapporti tra mente e corpo nella poesia americana contemporanea dopo la «cognitive revolution» (dagli anni Cinquanta ad oggi), Skillman mira a registrare «the powers and limits of human consciousness in the age of the brain» (p. 4).

La scelta di attraversare l’intero percorso letterario di ogni autore fa sì che Skillman possa descrivere la storia testuale (americana) del cognitive turn della «post-45 poetics» secondo «the effects of cultural neurologism» (p. 19). In un modo analogo a quanto svolto da Judith Ryan in The Novel After Theory (2006), ma limitatamente al mondo delle neuroscienze, Skillman verifica gli effetti della teoria scientifica nella poesia di Robert Lowell («sentimenti e personalità»), Robert Creeley e A.R. Ammons («pensiero consapevole»), James Merrill («memoria»), John Ashbery («attenzione») e Jorie Graham («percezione), studiandone il percorso poetico, le forme di resistenza e i punti di continuità con il mondo delle scienze dure.

Rispetto ad altri interventi, come British Romanticism and the Science of the Mind (2001) di Alan Richardson, dove il testo letterario è sottomesso alle leggi della scienza e della storia, Skillman affida la propria narrazione duale (la mente come parte della natura e come oggetto della scienza) alla poesia: se, infatti, l’amore, l’attenzione e l’umore sono sia «esperienze», sia «fenomeni chimici», quali sono le modalità di rappresentazione dell’io lirico, del suo corpo e della sua mente? E come cambiano in rapporto a queste nuove “forme” le strutture della poesia? Qual è il ruolo del lettore durante i processi di lettura di una serie di testi concepiti all’interno di un sistema “cognitivo”?

Sebbene The Lyric in the Age of the Brain ambisca a rispondere a tutti questi interrogativi, nei primi cinque capitoli del libro (il capitolo finale, Antilyric in the Age of the Brain è una breve storia della dissoluzione dell’io lirico all’inizio del ventunesimo secolo nelle raccolte di Lin, Juliana Spahr, David Buuck, Harryette Mullen e Christian Bök), Skillman affronta sistematicamente solo la prima domanda, cercando di tracciare il «perimetro dell’interiorità» della poesia contemporanea americana. In termini “scientifici”, l’autrice definisce le raccolte di versi prese in esame come «sperimentali»: le poesie di Creeley degli anni ’60 e ’70 (Words, 1967; Thirty things, 1974), ad esempio, mostrano una visione del mondo fortemente materialista, mentre dagli anni ’80 in avanti (da Echoes, 1982, a Windows, 1990) il poeta abbraccia una visione del mondo duale («la mente e il corpo sono una cosa sola»); similmente, le ultime sillogi (liriche, ma epiche) di Merrill abbandonano ogni radice spirituale per inserire il «materialismo biologico» del secondo Novecento all’interno di una «coscienza creativa»; un caso particolare è rappresentato a sua volta da Ashbery, il quale, da Some Trees (1956) a Breezeway (2015), rifiuta categoricamente «ogni tipo di atto mentale», affidandosi, unicamente, ai «fallimenti della comprensione» come percezione (fisica) del mondo.

Il libro avrebbe forse beneficiato di una maggiore attenzione alle dinamiche performative legate alla lettura (così come alla composizione) dei testi presi in esame – un aspetto quest’ultimo, che rende Theory of the Lyric (2015) di Jonathan Culler un libro essenziale. Ciononostante, l’esordio saggistico di Skillman è già oggi un testo imprescindibile per gli studi di teoria della lirica e dei rapporti tra scienza e letteratura.

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