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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Alessandro Fo, Mancanze

[ Einaudi, Torino 2014 ]

 

Breviario laico e testimonianza di un’inesausta ricerca delle «particelle infinitesimali» della «sostanza angelica», di quella «pasta divina» che abita e si manifesta, latamente, nelle pieghe terrene dell’«esistenza di cose e persone» (p. 112), Mancanze di Alessandro Fo è un libro costruito secondo un principio ascensionale che trova nella sacralizzazione dell’idea di macrotesto la propria cifra identitaria. Diviso in tre sezioni – Libro d’oro, Il tono blu (variazioni Chopin), Figure d’angeli , e accompagnato da una nota finale (Un appunto) che si pone quale prolungamento narrativo dell’incedere poetico e non come mera chiosa filologica, il tessuto testuale di Mancanze è ulteriormente potenziato da una formula latina che chiude il tempo poetico dei quattro movimenti del libro: reliqua desiderantur. Con l’ironia propria dell’editore di testi latini che diventa editore dei propri versi, Fo ricorda che «in qualche edizione di poeti antichi» sarà capitato al lettore di imbattersi in un appunto «che segnala come qualcosa si sia perduto (e, in quel caso, resti ‘desiderato’): reliqua desiderantur, vale a dire “il resto manca”» (p. 111). Nella poesia di Fo, questa mancanza, la cui variante latina doveva essere inizialmente il titolo della raccolta, coincide con la scomparsa della presenza del divino dalla coscienza dell’uomo; e la poesia diventa così il mezzo attraverso il quale il poeta può ristabilire la «simbiosi di spirito e corpo» (p. 23), la «fisionomia perduta» del «Mistero / di una vita infinita, / simultaneamente ed infinita- / mente all’infinito ripetuta» (p. 98). Sebbene secolarmente liturgico, il moto della poesia di Fo è religioso. Separati, dialetticamente, dalla «gioia perfetta», «[dal]la musica in silenzio» di Chopin (p. 63), le cui variazioni musicali costituiscono un vero e proprio intermezzo tra la pericope delle preghiere della prima sezione e le rappresentazioni figurali della terza, Libro d’oro e Figure d’angeli costituiscono i due poli del recupero dell’«infinita bellezza del creato» (p. 80) da parte del poeta. Nel primo movimento di Mancanze Fo, attraverso la contaminazione tra versificazione poetica e preghiera, legge in chiave profana la «“lontananza”» propria di «una persona contigua alla materia» (p. 111): il Padre Nostro, il Gloria e l’Ave Maria, in quanto espressione di un rapporto positivo tra l’uomo e Dio, subiscono necessariamente un processo di ri scrittura frammentaria nelle tre sottosezioni del Libro d’oro, così da rappresentare, etimologicamente e poeticamente, la condizione del fedele rimasto fuori dallo spazio sacro di Dio.

L’incompiutezza che scaturisce da questa frattura è sintomo e figura dell’orizzonte epistemologico che fa da contorno all’intera raccolta. Alle soglie della versione laica, in quattro tempi, del Padre Nostro, Fo pone come testo esordiale una lirica inti- tolata Al Figlio, la cui chiusa manifesta fin da subito il motivo conduttore di Mancanze: «Però / nulla è mai davvero come sembra, / ma almeno sette volte più complesso» (p. 5). Mancanze procede da questo dubbio metodico che Fo pone come sigillo dell’intera raccolta e che egli articola lungo tre piani tematici: uno propriamente religioso, attraverso l’incontro tra poesia e preghiera nella prima sezione; uno musicale, grazie al quale la frattura tra cielo e terra è esperita dal poeta attraverso un medium artistico acustico; e, infine, uno figurativo-religioso, dove l’istanza metafisica indagata nella prima sezione prende le forme terrene di figurae, di epifanie plastiche del divino negli spazi profani dell’io. In questo ultimo movimento poetico, «[l]’infinita bellezza del creato» ricercata dal poeta nelle prime due sezioni del libro «si rinfrange», finalmente, «in singole creature» (p. 80): così facendo, la riconciliazione tra il mondo umano e quello divino si risolve in una fenomenologia angelica che risponde a principî estetici di ordine materiale e quotidiano, affinché queste «schegge d’incontri con persone di diversa età, natura e condizione» possano «schiud[ere] un raggio di sostanza angelica» (p. 112) nel teatro terreno dell’io.

 

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