“Storia europea della letteratura francese”
[a cura di L. Sozzi, Einaudi, Torino 2013]
A fronte dell’aggettivo fieramente inserito nel titolo, la storia della letteratura francese curata da Sozzi ha ben poco di “europeo”, se con questo termine si intende un approccio costante finalizzato a «dar corpo all’idea della salda unità della cultura europea, della comunanza dei problemi, delle esigenze, delle aspirazioni» (ma lo stesso accadeva con l’altra Storia europea di Einaudi: quella italiana pubblicata da Asor Rosa). Né le eccezioni che saltuariamente si incontrano (particolarmente rilevanti nelle pagine sul XVII secolo, con acute riflessioni dedicate a Tasso e Marino) possono conferire ai due tomi un impianto comparatista o vicino alla World Literature (o più correttamente European Literature): ci si trova di fronte, invece, a una storia letteraria che non travalica mai – metodologicamente – i confini imposti dalla letteratura nazionale.
E tuttavia la letteratura francese, in questo lavoro curato da Sozzi, non campeggia in assoluta solitudine. Sarebbe ingeneroso e scorretto infatti non rimarcare come i rapidissimi rimandi al coevo contesto europeo, disseminati nel testo con precisione e intelligenza, restituiscano l’immagine di una cultura letteraria che avanza di pari passo ad altre realtà nazionali (fino ad un certo punto l’Italia, poi la Germania; ma non sono escluse Spagna e Inghilterra) e mettano questa Storia al riparo dall’accusa di francocentrismo (corroborano questa sensazione le lucide pagine – nel capitolo sul Novecento – sulle letterature francofone, nelle quali Tamassia, pur nel poco spazio a disposizione, riesce a rendere giustizia delle specificità delle diverse realtà geografiche e culturali).
Ad ogni modo, più che l’aggettivo, maggiormente interessante è invece indagare il sostantivo che costituisce il sintagma principale del titolo: «storia». Aliena ad una tradizione tipicamente italiana, che in ottica anticrociana avverte sempre forte l’esigenza di categorizzare ed etichettare periodi, correnti e movimenti, la Storia europea della letteratura francese procede secondo un rigido iter cronologico, in cui a conferire il volto alle epoche sono più i singoli autori che non le scuole letterarie (fanno eccezione i gruppi ufficialmente costituitisi: nel Novecento ad esempio i surrealisti, ma anche «Tel quel»). Sicché i grandi autori finiscono per essere delle macroisole a cui si legano, secondo un rapporto di somiglianza e affinità, scrittori ritenuti, dalla fortuna critica prima e dai singoli autori di questa Storia poi, secondari o di rilevanza inferiore. Inoltre, sebbene alle idee filosofiche (tanto più per la Francia moderna), alle visioni epistemologiche, alle mode di pensiero, che di volta in volta nei secoli si sono succedute, Sozzi e i suoi collaboratori conferiscano il loro giusto peso all’interno dell’evoluzione letteraria, sono soprattutto i procedimenti formali (anche quando sommariamente descritti) a scandire il passaggio di epoche. Esemplare è il caso del Novecento, che per la sua vicinanza cronologica richiede una periodizzazione più mossa e articolata. Sul versante del romanzo, così, si nota che se fino agli anni Venti, in opposizione al romanzo ottocentesco, lo stravolgimento del punto di vista sovverte i principi costitutivi del genere (con Proust come acme, e Gide con Colette, Giraudoux, Cocteau a costituire con le loro specifiche inclinazioni il circostante milieu), dagli anni Trenta in poi – con il prosciugamento del mare della soggettività, così come descritto da Calvino – «tutta l’attenzione viene così rivolta alla ricerca di un senso della vita in relazione alla storia che appare sempre più disertata dei valori fondamentali»: di qui un tipo di narratore più istituzionale nei romanzi di Malraux e Bernanos. E allo stesso modo, dopo il furore sperimentale del secondo Novecento – i nouveaux romanciers: Robbe-Grillet, Butor, Duras, ma anche Beckett – gli anni Ottanta danno vita ad un «ritorno al soggetto, al reale e alla storia nella narrativa»: Houellebecq, Nothomb, Echenoz, ecc. E anche in quest’ultimo caso sono i procedimenti narrativi – dall’autofiction al polar – ad offrire il termometro del cambiamento.