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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Giorgio Pozzessere – Pier Paolo Pasolini, Le lettere

[ a cura di A. Giordano, N. Naldini, Garzanti, Milano 2021 ]

Questo volume riproduce tutti i testi pubblicati da Einaudi nel 1986-88 ed è caratterizzato dalla sua stessa organizzazione per anno. Ha una nuova Cronologia, che, pur mantenendo il vecchio impianto e l’ampio spazio che aveva concesso alla voce di Pasolini, risulta essere arricchita e aggiornata, anche in virtù degli studi più recenti. C’è, inoltre, l’aggiunta di circa 300 testi, alcuni dei quali ancora inediti, altri già apparsi in volumi o riviste.

Le lettere pubblicate in passato sono state oggetto di una revisione filologica, così come le note e i riferimenti bibliografici. Il volume mira a dare una sistemazione all’incredibile quantità di epistole di Pasolini, cercando di offrire un quadro sia del carattere di Pasolini, sia dell’uso che faceva della forma epistolare: sono presenti lettere scritte “con la mano sinistra”, poco curate e incentrate sul quotidiano, e lettere limate, spesso anche piegate allo stile del destinatario (penso soprattutto a quelle indirizzate a Contini). La parte più interessante dell’edizione è la pubblicazione di quelle inedite, che formano un nuovo carteggio sparso nelle varie sezioni cronologiche. Tra queste spiccano quelle indirizzate a Volponi, Morante, Contini, Ungaretti, Bertolucci, Bassani, Vicari e Anceschi. Ma è forse quella straziante del maggio del 1945 a occupare un posto di rilievo. Questa, che si presenta come una narrazione diaristica, è un testo inviato idealmente da Pier Paolo al fratello Guido, poco tempo dopo essere venuto a conoscenza della sua morte nell’eccidio di Porzûs del 12 febbraio 1945. La lettera, che era stata pubblicata parzialmente su «La Repubblica» nel 2015, ha in esergo un verso del Salmo CXI di Tommaso Campanella, che mostra sia la sua intenzione letteraria, sia la sua funzione di elaborazione del lutto. È interessante a questo proposito rapportarla a quella del 21 agosto del 1945 destinata a Luciano Serra, in cui Pier Paolo racconta ciò che la famiglia Pasolini sapeva dell’eccidio, e anche, per la costruzione letteraria e per i toni usati, ai celebri versi, scritti in quel periodo e rimodellati a più riprese negli anni successivi, di uno dei Cori in morte di Guido («Sei stato fanciullo da solo / sei stato figlio da solo. / E di te ora, tutto donato, / resta l’azzurro dei monti»).

Nel carteggio, il giovane Pasolini appare spesso come un ragazzo ambizioso e disorientato, che fa largo uso di patetismo, come si può vedere nella lettera del 1942 inviata a Ermes Parini, in cui scrive: «sono rinnovato al dolore, ma non è mia questa disperazione»; o in quella inviata a Bassani del febbraio 1950, in cui chiede la sua amicizia, sottolineando la solitudine del suo primo periodo romano. Pasolini appare spesso anche come un giovane poeta desideroso di inserirsi negli ambienti letterari. Interessanti, inoltre, sono la prima lettera inviata da Pasolini a Ungaretti del 9 aprile 1949, in cui, aprendosi spudoratamente, si dichiara «non poco ambizioso», le due del giugno 1956, in cui chiede a Schiaffini e a Ungaretti di testimoniare per lui al processo per Ragazzi di vita, e quella inviata ad Anna Banti il giugno 1970, in cui definisce Roberto Longhi suo padre d’elezione.

Le lettere inedite, dunque, risultano fondamentali per fare una genealogia del Pasolini intellettuale. A questo proposito, degne di nota sono sia il “ciclo” di Dell’Arco (1947-1952), in cui emerge il suo amore per la poesia popolare («Cosa vale tutta la pianura padana e tutto l’Appennino che la carta geografica minacciosamente ammassa tra le nostre due residenze? I nostri due libretti […] hanno filato una rete più fitta di quella dei meridiani e dei paralleli.»); sia le lettere inedite ad Anceschi, in cui si vede il rapporto sensuale che Pasolini aveva con tutto ciò che identificava sotto la categoria di «popolare» («Cose che io sento sensualmente, e mi fanno lavorare con euforia: questa Italia popolare sempre accoratamente uguale, che non mi sazio mai di “voler capire”, in un continuo alternarmi tra la testimonianza intellettuale […] e un’immersione diretta, irrazionale in essa…»).

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