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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Giacomo Sartori, Cielo nero

[Gaffi, Roma 2011]

Con il suo quarto romanzo, Cielo nero, Giacomo Sartori torna su uno dei suoi temi privilegiati, la famiglia, considerata come nucleo sociale elementare, a partire dal quale leggere, in miniatura, dinamiche collettive di scala molto più ampia, di portata storica e politica. Così accade in questa cronaca degli ultimi mesi di vita di Galeazzo Ciano nel carcere degli Scalzi di Verona, roccaforte della Repubblica di Salò.

Vicenda e personaggi sono tutti interni al regime: Ciano, genero di Mussolini ed ex ministro degli Esteri, viene processato da un Tribunale Speciale Straordinario che dovrà giudicare gli autori del “colpo di stato” del 25 luglio 1943, data della destituzione del duce da parte del Gran Consiglio del fascismo. L’esito della vicenda è senza sorprese: nonostante i forsennati tentativi della moglie Edda di ottenerne la salvezza, Ciano è fucilato l’11 gennaio del 1944.

Intorno a questa vicenda Sartori imbastisce un rigoroso e monotono dramma à huis clos. La voce narrante si concentra intorno a pochissimi personaggi e luoghi: la cella di Ciano, frequentata quotidianamente da Felicitas Beetz, giovanissima spia nazista, divenuta sua amante; la sede della Gestapo a Verona; i palazzi diplomatici che percorre Edda Mussolini, intenta a negoziare disperatamente la libertà del marito. Padre e figlia, marito e moglie, genero e suocero: il nodo dei rapporti famigliari, complicato dall’intrusione di amici, oppositori politici, amanti, diventa lo scorcio attraverso il quale guardare la vicenda collettiva del fascismo.

In una recensione al libro di Sartori, Daniele Giglioli ha formulato un’ipotesi importante per la comprensione del romanzo storico contemporaneo: da Littell a Cercas, l’evento storico, da realtà collettiva e sovraindividuale, verrebbe ricondotto all’ineffabile ed enigmatica identità dell’individuo, perno di tutto l’impianto narrativo. Non credo che questo discorso possa, però, valere per Cielo nero. Sartori fa qui lavorare appieno quello che costituisce al contempo lo strumento ottico e il campo d’esplorazione privilegiato della realtà: la dinamica familiare. E un tale partito preso è denso di esiti non scontati. Dove collocare il baricentro dell’evento storico: nelle anonime forze che muovono le masse, nella volontà circoscritta del singolo, o in quel tessuto di relazioni che dal nucleo familiare si proietta su aggregati sociali progressivamente sempre più grandi?

La visuale romanzesca risulta certamente angusta e non c’è mai la pretesa, in Sartori, di porsi in un’ottica di sorvolo nei confronti della complessa realtà del fascismo. Ma questo restringimento del terreno romanzesco permette di realizzare una specifica fenomenologia del potere. La figura di Ciano, infatti, mette in luce una paradossale legge: «chi più ha potere meno se ne sente responsabile». Egli, in fondo, è soltanto uno dei tanti emuli di Mussolini, irresponsabili e fatui quanto lui, tutti però convintissimi che quel piccolo o grande potere fosse loro destinato per sacrosanto merito. D’altra parte, proprio i personaggi come Ciano appaiono destinati al comando agli occhi della gente comune: l’inconsistenza etica costituisce il propellente maggiore delle loro carriere. E questo vale particolarmente in un contesto come quello fascista, che ha fatto sognare le masse attraverso scenari di paccottiglia. In un passo del romanzo, il protagonista dice di Mussolini: «Per lui la guerra è un problema di pieghe dell’uniforme e di cera sulle scarpe, come per qualsiasi altro caporale». D’altra parte, Ciano stesso vive la guerra come circostanza teatrale: essa si risolve in bravate individuali, sganciate da qualsiasi conseguenza nei confronti dei destini collettivi. Sartori ci parla di questa forma della banalità del male: dell’uomo irresponsabile, incapace di portarsi all’altezza delle proprie azioni, e proprio per questo tremendamente affascinante, nella sua promessa di un’agire fine a se stesso, narcisistico, aleggiante sopra l’eco fragoroso e mortifero delle proprie conseguenze.

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