[ il Mulino, Bologna 2018 ]
In meno di dieci anni dalla sua pubblicazione nel 2006, il libro di Roberto Saviano ha dato vita a un «universo transmediale» che, partito da un fedele adattamento per il teatro (2007), ha visto l’avvicendarsi di un film (2008), di una serie tv di successo e della sua parodia (2014), fino all’apparizione di app telefoniche che ben poco hanno in comune con il progetto iniziale del libro. Oltre le intenzioni e le previsioni dello stesso autore, Gomorra è diventato un brand. Di questo brand, delle sue componenti, forme e contraddizioni ci parla Giuliana Benvenuti nel suo ultimo lavoro, partendo dal presupposto che non si può più considerare il libro di Saviano ignorando il franchise cui ha dato vita, perché «Gomorra può oggi essere interpretato in modo differente da come è stato interpretato quando era “solamente” un caso letterario» (p. 7). Insieme a Romanzo criminale, si tratta infatti del primo caso italiano di narrazione diventata in breve tempo transmediale. Gli elementi che in modo determinante hanno contribuito all’espansione narrativa dell’«ecosistema» Gomorra sono principalmente due: la possibilità di internazionalizzare un fenomeno che già nella sua forma originaria tentava di leggere un problema locale inserendolo all’interno di un contesto pienamente globalizzato; il fatto che già il libro dialogava in modo consapevole con il campo dell’universo mediatico e dell’informazione di massa. Sembra un paradosso che proprio chi ha fatto del potere della parola uno dei perni centrali della propria poetica si sia trovato a essere il protagonista di un «transmedia storytelling». Eppure non va dimenticato che il nucleo di Gomorra nasce sui blog, e che la volontà di comunicare raggiungendo un pubblico più vasto possibile è un aspetto non secondario dell’ecumenismo di Saviano. Il suo è un gesto performativo che chiama alla cooperazione – di qui le accuse di ricatto morale più volte mosse allo scrittore. Ma d’altronde l’interrelazione stretta tra media e realtà è già additata nel libro: descrivendo la villa di un boss costruita sul modello di quella di Tony Montana in Scarface, Saviano ci ricorda che non è semplicemente il mondo del crimine a essere fonte di ispirazione per il cinema, ma che spesso il cinema diviene un modello da cui i camorristi desumono il loro codice comportamentale. In questo senso, Scarface è, nell’interpretazione di Benvenuti, una sorta di sottotesto di Gomorra, «un modello da rovesciare» per sostituire all’epica del male del film un’epica della rivolta che ha il suo perno nella figura dell’autore-narratore-protagonista Roberto Saviano.
È proprio questo elemento distintivo del libro a venir meno in ciò che lo segue: fatta eccezione per lo spettacolo teatrale, tutte le produzioni successive decidono di rinunciare alla figura che teneva unita la narrazione discontinua del libro. È da qui che Gomorra inizia a diventare profondamente altro da quello che era. Il film di Garrone abbandona la retorica enfatica di Saviano prediligendo un «paradigma mostrativo» che mette a nudo la realtà quotidiana della camorra rinunciando a formulare giudizi. La serie, chiave di volta della diffusione capillare del brand, vira verso la saga familiare e il gangster movie, puntando sull’empatia dello spettatore con i personaggi e invertendo di segno l’operazione deepicizzante attuata da Saviano e continuata da Garrone. Certo, un brand diventa tale proprio quando ogni medium sfrutta al meglio le sue potenzialità; tuttavia, Benvenuti sottolinea acutamente i problemi di coerenza che un’evoluzione del genere comporta: se prima i giovani camorristi citavano Scarface, ora fanno lo stesso con le frasi celebri della serie. A controbilanciare queste contraddizioni è però la presenza mediatica di Saviano, «istanza di controllo», garanzia ideologica e parte integrante dello stesso brand, chiamato a certificare la coerenza di ogni espansione con il suo progetto di denuncia e a «reiterare la propria assoluta adesione ai valori dei quali è diventato emblema» (p. 170).
Lascia un commento