[ trad. it. di R. Gado e R. Cravero, Fazi, Roma 2018 ]
Turbine non è l’ultimo romanzo di Juli Zeh: uscito in Germania nel 2016, è seguito un anno dopo da Leere Herzen, ultima prova di scrittura della prolifica autrice di Bonn. Lo scarto tra i due è notevole: pur non apportando grandi novità, Turbine è un bel libro, che coinvolge e intrattiene senza scadere nella banalità del romanzo successivo.
Zeh ha lavorato per anni a costruire il mondo di Unterleuten, paesino fittizio del Brandeburgo dove è ambientata la vicenda di Turbine. L’intento mimetico è agli estremi: l’autrice disegna una mappa del paese, crea i profili Facebook e Twitter dei suoi personaggi, rende accessibili online tutti i siti menzionati lungo la trama. Lo scopo è di ricreare un microcosmo intermediale, dove il lettore possa muoversi da un luogo all’altro, da un personaggio all’altro, e riconoscervisi. A Unterleuten (in tedesco, «tra la gente») si scontrano diverse visioni del mondo. Vi si ritrovano contadini e proprietari terrieri divisi da faide risalenti alla RDT e amplificatesi alla caduta del Muro; giovani scappati dalla metropoli sognando la serenità della vita provinciale; ecologisti e speculatori, bambini e settantenni, Ossis e Wessis. Ciascuno vive in un universo a sé, in cui il proprio punto di vista è la verità assoluta. Quando una ditta di energia eolica annuncia che, per volontà delle autorità governative, dieci turbine saranno installate nelle vicinanze di Unterleuten, l’equilibrio precario tra gli abitanti viene meno: cominciano a formarsi alleanze e inimicizie che decadono prima in abietto opportunismo, poi in cieca violenza. Le turbine, insomma, sono il pretesto perché la molla, in tensione fin dall’inizio, scatti, e il conflitto latente diventi guerra. Zeh vuole mettere in luce l’incapacità degli individui di stabilire un rapporto costruttivo con la comunità. Perciò ci mostra al tempo stesso la collettività nel suo insieme – con un Gesellschaftsroman che rivela le relazioni tra i personaggi – e le singole esistenze che la compongono – alternando i punti di vista di capitolo in capitolo. Il lettore è invitato così a scoprire le prospettive del pedante Gerhard Fließ, della calcolatrice Linda Franzen e del collerico Kron, meno per condividere le loro posizioni che per comprenderne la parzialità e quindi prenderne le distanze.
Il messaggio è semplice: tutti credono di fare il bene, ma per ciascuno il bene corrisponde ai propri interessi. Un’idea ripresa ben due volte in una citazione, capovolta, dal Faust: «Il diabolico nell’uomo consiste nel volere eternamente il Bene e praticare eternamente il Male». È il problema che sta a cuore all’autrice, di formazione giurista, in tutti i suoi romanzi: come garantire libertà e giustizia, se queste sono nozioni relative? I personaggi principali, non a caso, forniscono le proprie definizioni della libertà; definizioni che differiscono a ogni slittamento del punto di vista e rendono impossibile la convivenza pacifica. Il romanzo, mettendo in mostra la china dell’individualismo, vuole inserirsi nella scia della letteratura impegnata à la Grass e presentarsi come un appello alle coscienze dei lettori. Ma qualcosa impedisce a Turbine di fare davvero breccia: forse la superficialità dei personaggi che, a scapito dei flashback biografici e delle pagine Facebook, restano dei tipi, quando non delle vere e proprie caricature; o l’uniformità dello stile che, malgrado l’ottima traduzione, non rende sempre conto dell’alternarsi dei punti di vista; oppure i luoghi comuni che costellano il romanzo e gli espedienti narrativi, troppo evidenti, per avvincere il lettore. Pur con questi limiti, Turbine raggiunge il suo obiettivo: rappresentare le tensioni interne a una società nell’«era dell’egocentrismo totale», riconoscerne l’origine nella convinzione di ciascuno di trovarsi nel giusto, e auspicare la riparazione della fiducia in qualcosa che superi gli orizzonti e le aspettative del singolo per ricostruire il legame con la società. Un’idea e un invito che Zeh promette di rinnovare in un futuro romanzo, che avrà come protagonista l’ultimo, enigmatico personaggio che visita Unterleuten.
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