[trad. it. di E. Leonzio, Einaudi, Torino 2015]
Il volumetto, frutto di una sintesi di altri lavori del sociologo tedesco (erede di una nota e ricca tradizione), è molto utile e stimolante entro il dibattito sulla cultura degli ultimi decenni, da lui, credo opportunamente, definita «tarda modernità»: definizione che suggerisce – e la lettura del suo testo ce lo conferma – che gli anni che viviamo sono intesi come uno spezzone di un processo tutto interno al moderno. Nessuna frattura, dunque, è percepita dallo sguardo sociologico entro un medio-lungo periodo, che pure vede varie cesure e intermittenze.
La tesi di fondo di Rosa è che le trasformazioni nei comportamenti e nelle aspettative della società umana negli ultimi due secoli sono segnate da un costante accrescimento della velocità; e – secondariamente – che tale progressiva accelerazione è determinata e alimentata dal principio di prestazione: donde anche un crescente disagio nella vita collettiva e nella psiche degli individui, e una nuova forma di alienazione generale che s’innesta nel concetto che è già di Marx, ma contornato e articolato, oggi, in maniere e con fenomenologie diverse (che riguardano spazio, tempo, azioni, oggetti e “gli altri”).
La lettura non sarà forse nuovissima né isolata, ma va segnalata proprio per la sua prossimità con tesi assai simili che l’analisi e il dibattito sulla tarda modernità vanno suscitando: per fare solo qualche esempio, quello che emerge negli studi su tempo e consumo di Lipovetsky, di Recalcati, di Augé, e anche, qualche anno fa, in un libro di Muscelli e Stanghellini nel campo degli studi di ambito psicologico; anche se, naturalmente, i punti di riferimento di Rosa sono figure come Habermas e Honeth. I processi di accelerazione, osserva Rosa, riguardano la tecnologia e i mutamenti sociali, ma soprattutto l’accelerazione crescente del ritmo di vita. Il fatto è che tali mutamenti oltre a indurre senso di colpa in chi non riesce a competere con le nuove richieste di prestazione veloce e completa (non riesco a tenere il ritmo, dunque non faccio il mio dovere e sono inadeguato) producono, più che il rifiuto, l’introiezione del nuovo orizzonte dei valori di competitività e prestazione.
Accanto ai processi di accelerazione sociale Rosa colloca processi in controtendenza, ossia di decelerazione, momenti di resistenze e di critica, e perfino l’abbozzo di un nuovo orizzonte di comunità, che rendono la sua riflessione più significativa. Fra le pagine forse più interessanti ci sono quelle che guardano all’accelerazione come a una nuova forma di totalitarismo strisciante e implicito; e soprattutto quelle che riguardano il «riconoscimento sociale» egemone ai nostri giorni, fondato, com’è ovvio, sul crescente adeguamento ai ritmi sempre più veloci, e d’altro canto individuato nei tempi delle trasformazioni dinamiche, che sono passati ormai da un ritmo generazionale di cambiamento a uno intragenerazionale. Posizioni che arricchiscono le riflessioni sull’immaginario, ma verrebbe da dire sul “sensorio” comune che la surmodernità ha prodotto in un tempo stupefacente per la sua brevità.
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