[Adelphi, Milano 2005]
Party im Blitz. Die englischen Jahre è il titolo – suggestivo e didascalico insieme – scelto dai curatori degli scritti postumi di Elias Canetti per il suo inedito ultimo volume autobiografico. Vi riaffiorano, tenacemente salvati dall’oblio, i ricordi legati all’emigrazione in Inghilterra, dove lo scrittore si rifugiò durante la seconda guerra mondiale. L’incompiutezza del libro sembra quasi rispondere a un segreto progetto dell’autore, profondamente ostile alla delimitazione dei confini; forte sarebbe la tentazione di interpretare puntini di sospensione, scrittura indecifrabile e lacune come un sistema per tener tipograficamente fede alla volontà di non conchiudersi, di non suggellarsi con una parola definitiva. Non solo; si ha addirittura la sensazione che in quest’ultima porzione di vita narrata Canetti voglia sottrarsi alla sua stessa indagine: a emergere non è infatti quasi mai colui che scrive, ma i suoi incontri, le tante persone conosciute e frequentate durante i party glaciali di quegli anni di guerra.
Eppure, per quanto Canetti pretenda di nascondersi, indietreggiando nella posizione dell’ascoltatore, non fa altro, in realtà, che approfondire la conoscenza intima di se stesso: la postura è dunque quella dell’auto-auscultazione. Dietro questa sfilata di personaggi inglesi si annidano ombre dell’autore, parti del proprio sé più cupo: porzioni di odio frazionato in categorie e poi rivestito di carne, assegnato a volti precisi. Tutto quello che Canetti detesta – celebrità, successo, potere – si presenta qui sotto specie umana. Perciò, gli insulti velenosi scagliati contro Eliot non sono affatto mirati ad attaccare l’intera opera e personalità del poeta.
Eliot, allegorico e insieme storicamente determinato, assume semmai una pregnanza figurale: Canetti lo preleva dal reale contesto e al contempo, accentuandone alcuni tratti, lo presenta come il prototipo della celebrità vittoriosa e compiaciuta. Per l’autore di Massa e potere, che giudica sulla base di un darwinismo capovolto, Eliot diventa così un bersaglio irresistibile, da contrapporre – in maniera molto scoperta, addirittura ingenua – al personaggio dello spazzino, esaltato come esempio di civiltà e di signorile distinzione. Canetti fluttua da una persona all’altra, esplorando lo sfondo artificiale dei party inglesi, «dove ci si ritrova in uno spazio ristretto, gli uni vicinissimi agli altri, ma senza sfiorarsi» (p. 25), occasioni mondane capaci di mettere a nudo gli aspetti più vulnerabili dello scrittore.
Come quando, umiliato, confessa di sentirsi «un emerito sconosciuto, un signor Nessuno» (p. 24: e qui l’odio per il potere e la fama dimostra con sconcertante evidenza il suo rovescio fatto di attrazione bramosa). È solo una, la più vistosa, delle contraddizioni presenti in Party sotto le bombe. Certo, l’incompiutezza del testo, accidentale o strategica che sia, lascia naturalmente trapelare le incertezze, la fragilità; ma non a essa sola vanno imputate le crepe. Viene qui meno, per esempio, il consueto scrupolo – responsabile della consistente mole dei tre precedenti volumi autobiografici – per la registrazione esaustiva di ogni minimo evento, di ogni errore, di ogni sperpero. È come se Canetti fosse ora stanco, molto stanco: esausto.
Ripercorsa la propria vita con l’obiettivo della completezza, lo scrittore è ora costretto a fare i conti con l’esaurimento dello spazio e delle energie. Così il progetto autobiografico muta, semplificandosi e prendendo un’acerba scorciatoia: non si tratta più di combattere contro la storia, «che agisce sempre come se fosse dalla parte dell’avvenimento più forte, cioè di quello realmente avvenuto», ma piuttosto di «ricostruire la biografia di un uomo in base a ciò che ha detestato» (La provincia dell’uomo).
La degenerazione dell’esaustivo nell’esausto, per dirla con Deleuze, appare evidente specialmente nella frase conclusiva del volume: «Chi mi crederà? E a chi importerà mai? A tale scopo mi occorrerebbe la serenità della vecchiaia, ma non mi è data, o mi è concessa solo a volte e troppo di rado» (p. 202). E questa figura senile e imbronciata, con l’orecchio incollato sul proprio petto, è l’ultima metamorfosi di Elias Canetti che al lettore è dato scoprire.
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