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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Francesco Maino, Cartongesso

[ Einaudi, Torino 2014 ]

Un presentimento scorre per tutto il romanzo di Francesco Maino, e si realizza nelle pagine finali, quando il protagonista ammette e confessa di essere stato sconfitto: «ecco quello che hanno fatto di me: un complice debole». Cartongesso è una continua invettiva contro il Basso Piave, contro la sua geografia e le sue industrie; uno sfogo tanto aggressivo quanto doloroso che non può che prendere atto della morte cerebrale dei suoi abitanti («quel mondo obeso di buone forchette, e di intolleranti avvinazzati, di strisciante fascismo cristiano inebetito dal mito del potere, che nella declinazione veneta equivale a guerra per: figa giovane, liquidità, vino e baccalà»). Il libro racconta il rabbioso viaggio mentale dell’autore nei luoghi del mondo in cui vive tutti i giorni; una società che, per quanto insopportabile, cattura i suoi abitanti nonostante i loro (pochi e vani) tentativi di liberarsene.

Il protagonista, Michele Tessari, è, proprio come l’autore Francesco Maino, un «avvocato di laguna», un penalista che ha a che fare solo con extra-comunitari che spesso neanche lo pagano, passando la sua vita tra i tribunali di San Donà di Piave e delle zone circostanti, apolide volontario dei luoghi che dovrebbero rappresentare il suo ambiente. La narrazione è un flusso, senza spazi o paragrafi, né divisione in capitoli, con un effetto di monologo interiore che procede in maniera sconnessa, legando gli eventi in maniera arbitraria, per associazioni idiosincratiche e secondo un intreccio tra la lingua italiana e la parlata sandonatese che, con le sue espressioni tipiche dialettali, mima gli effetti di un pensiero in presa diretta e violenta sulle cose; con il risultato di un italiano sporco, sarcastico e impossibile portatore di una qualsiasi consolazione, debitore verso lo stile di Céline (e, se si parla di influenze, si ripensa anche al Veneto di Zanzotto, alla sua descrizione del caos contemporaneo e di quel vivere in mezzo alla bruttezza che «non può non intaccare un certo tipo di sensibilità»). Il Veneto diventa allora un nebbioso Medioevo in cui gli outlet, gli spritz, i vinelli mattutini, i nuovi e sempre uguali complessi residenziali e il proliferare a perdita d’occhio delle industrie servono a costruire una sorta di schermo di protezione per non vedere la realtà, quella che davvero è l’essenza di quel luogo.

L’eroe e l’autore di Cartongesso sono entrambi nati nel 1972 a Motta di Livenza e tutti e due residenti a San Donà di Piave. Leggere che «il Veneto è tutto uguale, asfissia, campi tritati, bonaccia, soia, noia, fine pena mai, una meravigliosa cella quattro per quattro i cui internati, quattro milioni di ex contadini gonfiati dall’insaccato, ulcerizzati dal cabernet, equivalgono a quattro milioni di corpi ammassati, all’ergastolo», porta quasi a ripensare a un altro scrittore che detesta la propria terra chiusa e provinciale, Thomas Bernhard (possibile ispiratore di Maino e, tra l’altro, anche di un altro bravo narratore veneto, Vitaliano Trevisan). Al termine di Cartongesso torna in mente la «stupidità della popolazione» di cui parlava lo scrittore austriaco per riferirsi alla sua nazione «cattolico-nazional-socialista».

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