[ con interventi di C. Bello Minciacchi e M. Simonelli, Editrice Zona, Arezzo 2013 ]
«La datazione, che funge da sottotitolo, è al contempo veridica e vaga, certo emblematica»: è quanto si legge nella Nota d’autrice a Poema 1990-2000. Prosegue Rosaria Lo Russo: «credo, a posteriori – perché allora non ne ero consapevole – che la mia produzione tardonovecentesca abbia partecipato di un impulso epico-ironico ed eroico-parodico femminile italiano inaugurato dal poemetto La libellula di Amelia Rosselli e dalle sperimentazioni poematiche di Patrizia Vicinelli (Non sempre ricordano; I fondamenti dell’essere), testi e voci che paradossalmente ho conosciuto soltanto dopo la composizione di questi miei tentativi poematici, che adesso riconosco in larga parte derivati da quelle straordinarie esperienze di scrittura, almeno per quanto riguarda la collocazione storica del mio piccolo contributo, all’interno del quale le auctoritates citate sono invece varie e tutte canoniche». Va ricondotta qui – mi pare – la ragione più profonda e urgente di Poema; e il valore del libro si dovrà misurare soprattutto nel giro di questa chiave, tanto rispetto alla parabola artistica e intellettuale della sua autrice quanto verso la storia della poesia contemporanea.
Poema contiene, immutati ma diversamente combinati, alcuni testi già editi tra il 1993 e il 2004 e più volte eseguiti oralmente (spesso ancora prima di confluire su carta), tutti riconducibili alla categoria del «tentativo poematico», ora ripercorso in un montaggio che lo risemantizzi: «romanzo sfacciatamente autobiografico» (con le parole dell’autrice) e insieme epica di fondazione, in quanto «scrittura di sé e del Sé che si riconosce, si individua» – secondo Cecilia Bello Minciacchi –, in un processo la cui tappa fondamentale è la dialettica intellettuale con la tradizione dei Padri letterari (le auctoritates «canoniche») e che si conclude, «liquidato infine il ruolo della donna oggetto di poesia e assunto quello di soggetto in quanto “fattrice” di poesia», con «l’abbandono dello specchio paterno» (C. Bello Minciacchi, L’epica della storia, l’epica della voce, p. 12); in buona sostanza «opera metaletteraria avente per oggetto il suo stesso formarsi e le relative conseguenze» (come spiega Marco Simonelli), ovvero la nascita di un soggetto poetico femminile con una propria voce. La poesia di Lo Russo è oggi dentro una fase apertamente autre rispetto all’esperienza precedente, ma da quella generata e resa possibile. Non sarà un caso che questo Poema ci venga adesso presentato solo su carta: spetterà al lettore, come già suggeriva Pagliarani nella Prefazione a Comedia (1998), «avere la pazienza» di leggerlo tutto «ad alta voce» per «verificarne la necessità».
E il libro chiede di essere letto anche come anello dell’evoluzione della poesia italiana nell’ultimo cinquantennio: non solo e non tanto per i modi epici e il respiro poematico, per l’interna dialogicità e la vocazione orale e teatrale, ma soprattutto perché in rapporto strettissimo con la nascita di quella che Lo Russo, nel manifesto di poetica Fragili guerriere (firmato con Daniela Rossi nel 2011), non ha esitato a definire «poesia epica scritta da donne», una scrittura prima mai tentata dalle autrici italiane «dei secoli precedenti, sempre limitate alla poesia lirica occasionale o d’imitazione del canone petrarchesco» e che in Italia avrebbe come «madri fondatrici» Rosselli e Vicinelli.
Da ciò deriva il valore «emblematico» della datazione: questo Poema vuole concludere il secolo della fondazione consegnando al nuovo millennio una nuova identità poetica e una ben precisa ipotesi critica, che molto dovrà essere verificata e approfondita, ma che certamente non potrà essere ignorata.
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