Daniele Balicco: Per iniziare la nostra conversazione sulla struttura economica del Made in Italy, le chiederei anzitutto di definire cosa si intenda per Made in Italy all’interno della letteratura economica.
Giovanna Vertova: La letteratura scientifica identifica il Made in Italy con quattro settori industriali. Di solito si parla di quattro “A”: alimentare, arredamento, abbigliamento e automazione (in sostanza il settore dei macchinari, soprattutto macchinari specializzati). Oltre alla definizione di questi settori produttivi, nella maggior parte dei casi la riflessione si concentra sulla dimensione d’impresa: nella letteratura economica quando si parla di Made in Italy ci si riferisce quasi sempre a piccole e medie imprese (PMI), le imprese dei distretti industriali. Il primo studioso a parlare di distretti industriali è stato Alfred Marshall, nell’Inghilterra di fine Ottocento; i suoi studi sono stati ripresi in Italia dopo le due pesanti crisi petrolifere degli anni Settanta, perché a partire da quegli anni nel nostro paese si sono visti crescere agglomerati di PMI coordinate nella produzione di un prodotto. E la specializzazione in molti casi è stata talmente forte che il distretto si è identificato nel prodotto: le pelli di Prato, le ceramiche di Sassuolo, gli occhiali di Belluno…
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