[Mondadori, Milano 2012]
Con le raccolte pubblicate a partire dalla seconda metà degli anni Novanta Franco Buffoni si è imposto come uno dei maggiori poeti italiani del presente. In Suora carmelitana e altri racconti, Il profilo del Rosa, Guerra è ben visibile la peculiare abilità di questo autore nel maneggiare contenuti autobiografici e insieme, giocando sul dosaggio, nell’aprire i propri versi a movenze narrative, alla descrizione, al ragionamento. Nell’introduzione alla nuova, corposa, antologia uscita negli Oscar Mondadori, Massimo Gezzi ricostruisce in maniera molto convincente i diversi passaggi che hanno caratterizzato la carriera poetica di Buffoni dal 1975 a oggi. Le sue raccolte più belle ci appaiono così anche il punto di arrivo di un lungo praticantato e la sedimentazione di una rete di dialoghi, sfalsati nel tempo, con Keats, Byron, Auden, Heaney ma anche con i montalisti Sereni, Raboni, Giudici. Come hanno notato alcuni critici, ad esempio, da Heaney (e non solo) arriva la capacità di scavare, seguendo il filo che in profondità unisce epoche e strati diversi della storia (una «storia dell’umanità» che è «immensamente lunga», come intuisce il «contino Giacomo»). Impegnato in questa manovra delicatissima, il poeta è costretto sempre a tenere alta l’attenzione se non vuole sbilanciarsi e perdere l’equilibrio: «E sei sempre tu, hai quegli occhi del ’43 | Li avevi nel ’17 | Li avevi a Solferino nel ’59 | Sei sempre tu dalle truppe di Napoleone | Di Attila di Cortez | Di Cesare e Scipione | Tu, disertore di professione | Nascosto tra i cespugli | A spiarli mentre fanno i bisogni | Per fermare la storia. | Tu scarico della memoria».
Da Sereni (figura che, per coincidenze tra le due biografie, emblematicamente si sovrappone più volte all’immagine del padre di Buffoni) deriva proprio l’impegno a restituire dignità a vite dimenticate, esistenze di individui esclusi dalla memoria collettiva e dalla storia. In Patto di Varsavia (Roma) l’io lirico reclama una lapide per Cosmin e Mariusz, due amanti morti tragicamente e pronti a scomparire tra i verbali della polizia («dentro una polvere di archivi», direbbe Sereni). Le notizie di cronaca confinate in Due trafiletti di giornale (Noi e loro) ritrovano nuovo spazio nei versi, diga da contrapporre all’oblio e speranza di futuri risvegli «in un mondo più gentile».
Buffoni crede nella poesia, nella sua capacità di farsi carico di istanze etiche, civili, democratiche. L’appartenenza a una determinata generazione poetica fa sì che, in lui, questa fiducia possa trasparire liberamente e fermamente, senza quell’imbarazzo e vocazione all’understatement tipici di Sereni e dei poeti che hanno inaugurato il secondo Novecento. «Col rigore di una terapia | Praticherò io questo esercizio del ricordo | Conquistando schegge di passato | Per ricomporre l’oscenità» (Augurando a te una mente). Chi legge i testi di Buffoni rimane affascinato dalla banda di oscillazioni che questo poeta riesce a coprire. Tenerissimo con il nipote («Comportati bene, come il sole stamattina | Che quasi tra i tigli si nasconde | Per lasciarti studiare, | Sii come lui discreto»), sempre pronto a cogliere il decoro e la gentilezza della realtà e degli incontri cittadini, Buffoni, senza alcun moralismo e con freddezza (una freddezza che talvolta addirittura insospettisce), sa parlare, come pochi altri, dell’umana vocazione alla violenza, dell’orrore della storia, della «radice zoologica del male».
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