[Einaudi, Torino 2009]
Si riconosce uno sviluppo quasi sistematico nell’opera critica di Enrico Testa: partendo dalla coerenza interna ai libri di poesia, si approda al personaggio, prima come “voce” nel testo poetico (si veda il saggio Per interposta persona, 1999), ora come istituto romanzesco. Non stupisce, perciò, che dodici anni dopo Lo stile semplice, Testa torni a occuparsi di narrativa in prosa affrontandone uno dei problemi cruciali. Sorprende invece che lo faccia con un saggio quantitativamente esile di fronte all’entità della materia.
Nonostante l’ingenerosa sprezzatura verso i recenti studi teorici e comparativi sull’argomento (in alcuni casi consonanti con le posizioni di Testa), il libro tiene e merita un posto nella bibliografia sul romanzo contemporaneo. L’obiettivo non è infatti la definizione teorica del personaggio, ma la ricerca di un criterio empirico per saggiare opere recenti e fortunate di autori come – per citarne alcuni – Martin Amis, Auster, Coetzee, DeLillo, Grossman, Ishiguro, Kiš, Marías, McEwan, Philip Roth, Saramago, Sebald.
L’idea è questa: si può esprimere un giudizio di valore sui romanzi contemporanei distinguendo da un lato le opere dominate da “personaggi assoluti”, portatori di una soggettività ipertrofica ed “eroicamente” impegnati a teorizzare la propria labilità; dall’altro quelle abitate da “personaggi relativi” o “figuranti” che, senza rinunciare alla costruzione di un’identità, «aprono lo spazio della soggettività a una radicale esposizione all’altro». C’è poco da dire: il discrimine funziona, se permette di ridimensionare autori celebratissimi ma spesso fastidiosamente appannati come Auster, mettendo in risalto per contrasto il valore di Sebald, Grossman, Kiš.
È evidente che il primum del ragionamento critico di Testa (e del suo gusto) è etico, non teoretico: «Sia il testo che il suo protagonista sono […] un “come se” della nostra situazione e, in quanto tali, definiscono gli orizzonti conoscitivi (ed etici) della nostra abitabilità del mondo. Di quest’ultima il personaggio – nella sua costante allusione all’eventualità di essere una persona – è una figura decisiva.» In particolare, il personaggio “relativo”, o “figurante”, in «quanto direttamente implicato nella dinamica dei rapporti umani, […] sollecita infatti la rappresentazione di questioni morali.» Stando al canone dei romanzi che Testa più apprezza, il movente di natura etica si precisa nella Storia; i protagonisti di Austerlitz o di Vedi alla voce: amore, ad esempio, sono impegnati nella ricostruzione di un’identità, individuale o collettiva, annullata dalla Storia, che – con Adorno – sarebbe «idiota » pensare di raccontare «normalmente».
Il discorso trascende il problema del personaggio, da una parte per inscriversi nel dibattito su etica e letteratura; dall’altra per contestare in re un’indistinta applicazione della categoria di “postmoderno” alla narrativa. Se il termine definisce una logica culturale e non un complesso di tecniche, è giusto non fare di tutta l’erba un fascio, etichettando come postmoderni fenomeni narrativi simili ma motivati da istanze diverse. Meglio distinguere, come fa Testa, tra opere che conducono esperimenti sull’identità (sul tempo, sull’esperienza) per necessità etica e storica, da opere che attuano una strategia ludica.
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