allegoriaonline.it

rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi, Cesare Cantù, Il corpo delle donne

[2009]

 Il montaggio è la forza indiscutibile del Corpo delle donne, documentario nato sul web e diffusosi rapidamente in un momento in cui la questione femminile in Italia rischia di ridursi a emblema transitorio di una crisi socio-politica. Un emblema che, invece di riproporre la drammaticità delle vite quotidiane reali, le cancella rimpiazzandole con una serie di figure – escort, veline, vallette – divenute espressione tipica di un femminile ridotto a funzione corporea. Nel documentario impressiona l’accumulo di immagini di corpi: il montaggio mostra con nettezza i fondamenti di un’estetica cinica che annulla la persona e le sostituisce un’anatomia spezzettata e ultra-sessualizzata, e rivela quello che la fruizione passiva della televisione solitamente occulta, perché elimina la connessione narrativa, la cornice e la discorsività all’interno delle quali quei corpi sono calati.

La deriva pornografica del mezzo televisivo elabora una narrativa del corpo femminile basata su pochi elementi: una sessualità esposta e impersonale; una polarizzazione estrema dei generi sessuali; una subalternità mortificante, resa ancora più dolorosa dall’azione anestetizzante dell’ironia. La forza del documentario è anche il suo limite maggiore, e il montaggio, che decostruisce una simbologia nutrita di sadismo, dominio e violenza, rischia di diventare uno strumento retorico semplificatore. I temi proposti sono molti e non sempre ben messi a fuoco: il peso dell’immaginario nelle nostre vite, l’autenticità dei desideri individuali, l’introiezione del modello maschile, il “sistema” che impedisce alle donne di accettarsi, i volti deformati dalla chirurgia estetica, addirittura il destino dell’identità femminile.

Se all’inizio il commento fuoricampo dichiara che le immagini sono importanti perché specchio dei comportamenti, il documentario nel suo insieme sembra accantonare questo principio, perché attraverso le immagini espone il simbolico e tralascia il reale, disvela il funzionamento di una retorica e di una narrativa ma riflette troppo poco sui meccanismi della loro produzione. È pericoloso rapportare il materiale all’immaginario utilizzando schemi di derivazione e influenza: come non possiamo più accettare il principio riduzionista secondo il quale la struttura determina la sovrastruttura, così non dobbiamo neanche acquietarci nel suo rovescio postmoderno, che sia la sovrastruttura a determinarci, che l’immaginario abbia colonizzato le vite dei singoli, trascinandole in uno spazio in cui realtà e finzione sono diventate indistinguibili.

Il documentario descrive una fenomenologia del femminile televisivo ma non si interroga né sulle sue origini né sui suoi effetti. Dall’orizzonte dell’analisi resta escluso sia ciò che sta a monte (di cosa si nutre questo immaginario? cosa inventa? e cosa invece assorbe?) sia ciò che sta a valle (chi riceve questi modelli? come incidono sulle singole vite?). La stessa costruzione di un soggetto critico è fondata sull’uso simpatetico di una prima persona plurale – “noi donne” – alla quale viene voglia di sottrarsi per la genericità con cui è declinata. La nudità industrializzata della televisione – qui isolata da quel movimento di circolazione e ri-codificazione continua che regola il flusso di relazioni tra ciò che l’esistenza quotidiana è nei fatti e ciò che la modella in racconti e immagini – non è sufficiente a illustrare l’intreccio di dati materiali, condizionamenti sociali e culturali, desideri ed esperienze individuali di cui la vita di ogni persona si compone.

Sarebbe il momento di iniziare ad analizzare cosa pensa e come vive quel 60% di spettatrici, la maggior parte delle quali non avrà mai accesso alla chirurgia estetica, né mai parteciperà a un reality o farà parte del pubblico parlante di un talk show, non avendone né le risorse economiche né il tempo. Cosa veramente succede quando i modelli che la realtà produce ritornano nelle anse della vita quotidiana, nelle sue ristrettezze materiali, nelle sue fragilità psichiche, nello spazio dei corpi reali?

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