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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Franco Brioschi, La poesia senza nome. Saggio su Giacomo Leopardi

[il Saggiatore, Milano 2008]

Pubblicato per la prima volta nel 1980, La poesia senza nome viene ora riproposto, a diversi anni dalla scomparsa del suo autore, in quella che si prospetta come una vera e propria nuova edizione, curata da Patrizia Landi, che firma anche una ricca e appassionata premessa tesa a sottolineare l’attualità dei saggi di Brioschi. Non solo emerge dal lavoro di Brioschi un doppio itinerario di ricerca – da un lato, ricostruzione del milieu materialistico entro cui opera la poesia di Leopardi e, dall’altro, indagine specifica sui versi –, ma soprattutto si dà voce al poeta civile, ricco di contraddizioni ideologiche, impegnato a risanare quella frattura con il pubblico che andava vieppiù acuendosi.

Si consideri questo passo tratto dallo Zibaldone, che Brioschi commenta per evidenziarne la modernità: «Perdóno se il poeta, se la poesia moderna non si mostrano, non sono contemporanei a questo secolo, poiché essere contemporaneo a questo secolo, è, o inchiude essenzialmente, non esser poeta, non esser poesia. Ed ei non si può essere insieme e non essere» (11 luglio 1823). È il rapporto problematico con il destinatario sociale della poesia a segnare l’intera produzione di Leopardi e a renderla specchio dell’attuale situazione di crisi del genere poetico.

La profonda consapevolezza di porsi sempre innanzi alla storia e alla società (entità mai scisse), di stabilire un rapporto mondano con la realtà, di affrontare il problema dell’individuo moderno da una prospettiva laica, materialistica e, in tal senso, alternativa, fanno dell’autore dei Canti un esempio unico di scrittura civile. Il libro si apprezza, pertanto, come tentativo di analizzare nei modi più reconditi il punto di vista filosofico di Leopardi, il suo particolare illuminismo, senza cedere a etichette di maniera, nel proposito di saldarlo, in poesia, a quella sorta di «classicismo sperimentale, che mentre rivisita le forme venerabili del passato ne testimonia malgré soi l’estinzione ».

Si legge un’urgenza critica che opera lungo tutte le pagine dei saggi di Brioschi: la necessità di studiare Leopardi – e, in senso lato, l’esperienza poetica – senza cedere alla mistica delle facili determinazioni, bensì vagliando, attraverso la filologia, il profondo radicarsi dello scrittore nella realtà politica del suo tempo. «Apri i Canti – scrive Brioschi –, e l’orizzonte che subito si offre ai tuoi occhi è quello della storia. Un orizzonte cupo e opprimente, oscurato dall’ombra di un malefizio: sotto il giogo del dispotismo, la nazione ha smarrito la propria identità; avvilita dall’inerzia e nell’ignavia, sembra estraniarsi sempre più dal proprio destino». Non si può non riconoscere l’estrema attualità di queste parole: l’esperienza leopardiana agisce come proposta e come scommessa di un rinnovato tentativo razionalistico di comprendere la realtà attraverso la letteratura, anche laddove l’ideologia pessimistica di Leopardi «si colora di una vertigine negativa».

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