[ Carocci, Roma 2018 ]
Quanti si sono occupati di letteratura italiana contemporanea negli ultimi dieci anni hanno fatto i conti con alcune priorità: definire quali fenomeni abbiano portato la narrativa ad assumere il suo aspetto attuale; stabilire quando siano iniziate le trasformazioni di cui oggi leggiamo gli effetti; ipotizzare quali prospettive si attendano per il futuro. Carlo Tirinanzi De Medici, con il suo Il romanzo italiano contemporaneo. Dalla fine degli anni Settanta a oggi, riprende e conferma gli assetti suggeriti e proposti negli studi più significativi di questi anni (Casadei, Donnarumma e Simonetti su tutti). Questo studio ricostruisce gli ultimi quarant’anni di narrativa italiana e individua proprio nei decenni Settanta e Ottanta l’inizio di un modo di pensare e fare la letteratura che negli ultimi anni è diventato del tutto evidente. Dopo la stagione dell’impegno politico-civile postbellico e lo sperimentalismo della Neoavanguardia, la fine degli anni Settanta rappresenta un momento di rottura. Tirinanzi avvicina questo panorama frammentario e faticosamente mappabile senza appiattirne problematiche e contraddizioni: la perdita di prestigio della poesia lirica, il trionfo del binomio cultura pop e letteratura midcult, i nuovi legami tra l’editoria, il mercato e gli altri media, e soprattutto una progressiva rivalutazione del romanzo. È questo il punto di partenza di un lavoro critico che si estende poi agli anni Novanta e Duemila, soffermandosi su tematiche, nomi ed esempi quasi obbligati: tra i tanti, il pulp, i Cannibali, i primi esperimenti di non fiction e la rivalutazione delle scritture di genere.
Insomma, scavare a ritroso per inquadrare la narrativa di oggi in una prospettiva temporale più ampia è il taglio scelto da Tirinanzi De Medici per «aggiornare, ripensare e ampliare quel museo che è la storia della letteratura» (p. 10). Ma Il romanzo italiano contemporaneo si presenta come un’operazione storica sulla forma romanzo anche perché ricostruisce puntualmente i rapporti di causa-effetto che legano le trasformazioni della narrativa a ciò che è avvenuto sulla scena mondiale e italiana negli anni in questione. Le date scandiscono infatti la suddivisione in capitoli del libro e garantiscono un inquadramento utile al lettore per orientarsi con consapevolezza nella varietà dei fenomeni letterari analizzati.
Una simile operazione interpretativa è senza dubbio complessa. Tirinanzi De Medici gioca però a carte scoperte, dichiarando da subito i rischi di semplificazione, banalizzazione e forzatura che il suo ragionamento comporta (rischi, a conti fatti, neutralizzati nelle duecento pagine del volume). Al tempo stesso, anziché «produrre una serie di medaglioni slegati, una sequenza di singolarità che non riescono a dialogare tra loro» (p. 9), l’autore consegna un libro che colpisce per la sua compattezza, in quanto stabilisce una continuità tra esperienze letterarie di cui molta critica ha sottolineato invece l’eccezionalità e l’autonomia. È questo il suo punto di novità. Pur recuperando la tesi ormai condivisa secondo cui la «koinè letteraria degli anni Zero si organizzi intorno a due diverse modalità narrative» (p. 190), quella non finzionale e quella d’invenzione, Tirinanzi rifiuta un così rigido bipolarismo. Nella sua argomentazione infatti è costante l’esigenza di individuare punti di contatto e di disegnare uno spazio letterario condiviso, ponendo l’accento su alcuni «caratteri comuni a (più o meno) tutta la produzione» contemporanea e sulla frequenza con cui gli autori stessi «si muovono entro i due poli fattuale e finzionale» (p. 193). A partire da un background critico esplicitamente richiamato e condiviso, il ripetuto invito a leggere sotto il segno della continuità forme narrative apparentemente lontane offre quindi una prospettiva nuova sull’orizzonte letterario e culturale; e proprio perché nuova, ma meditata, questa prospettiva è anche l’occasione per ulteriori discussioni e riflessioni, volte a confermare, a correggere e forse a smentire alcune delle tesi proposte.
Lascia un commento